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Hadrian by sftrajan

© sftrajan, all rights reserved.

Hadrian

Caesar Trâiānus Hadriānus
born in Italica, Spain, 76 AD
died in Baiae, a town in Campania, 138 AD

sculpture: circa 130 AD
National Archaeological Museum, Naples
Farnese collection

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Busto dell'imperatore Adriano intorno ai 40 anni di età (117 d.C.) (Museo nazionale romano) - Roma by raffaele pagani

© raffaele pagani, all rights reserved.

Busto dell'imperatore Adriano intorno ai 40 anni di età (117 d.C.) (Museo nazionale romano) - Roma

Bust of Emperor Hadrian around 40 years of age (117 AD) (National Roman Museum) - Rome

Rom, Palazzo Massimo alle Terme, Kaiser Hadrian (Emperor Hadrian) by HEN-Magonza

© HEN-Magonza, all rights reserved.

Rom, Palazzo Massimo alle Terme, Kaiser Hadrian (Emperor Hadrian)

Das Porträt entstand 117 v. Chr. und wurde 1941 in der Umgebung des Bahnhofs Termini gefunden. Es zeigt Hadrian im Alter von etwa 40 Jahren, als er zum Kaiser erhoben wurde.

Tivoli: Villa Adriana. by vincenzovacca

© vincenzovacca, all rights reserved.

Tivoli: Villa Adriana.

Villa Adriana fu una residenza imperiale extraurbana a partire dal II secolo. Voluta dall'imperatore Adriano (76-138), si trova presso Tivoli (l'antica Tibur), oggi in città metropolitana di Roma Capitale. Realizzata gradualmente nella prima metà del II secolo a pochi chilometri dall'antica Tibur, la struttura appare un ricco complesso di edifici estesi su una vasta area, che doveva coprire circa 120 ha, in una zona ricca di fonti d'acqua a 17 miglia romane dall'Urbs[1]. Nel 1999 Villa Adriana è stata dichiarata Patrimonio dell'umanità dall'UNESCO.
Nel 2014 è stato il ventiseiesimo sito statale italiano più visitato, con 232 147 visitatori e un introito lordo totale di 546 598 EuroSi trova sui Monti Tiburtini, a circa 28 km (17 miglia romane) da Roma, dalla quale era raggiungibile sia per mezzo della via Tiburtina Valeria o della via Prenestina, sia tramite la navigazione sul fiume Aniene. La Villa si trovava sulla destra della via Tiburtina, poco oltre il ponte Lucano, prolungandosi fin quasi alle pendici del monte Ripoli su cui sorge Tivoli.

L'area prescelta si estendeva tra le valli dei fossi di Risicoli o di Roccabruna ad ovest e dell'Acqua Ferrata ad est, che, riunitisi, si gettano poi nell'Aniene; era una zona ricca di acque e vi passavano quattro degli antichi acquedotti romani che servivano Roma (Anio Vetus, Anio Novus, Aqua Marcia e Aqua Claudia). Nei pressi esiste tuttora la sorgente di acqua sulfurea delle Acque Albule (Bagni di Tivoli), che era conosciuta ed apprezzata dall'imperatore. Nei dintorni inoltre erano presenti numerose cave di materiali da costruzione (travertino, tufo e calcare per la realizzazione della calce).« Fece costruire con eccezionale sfarzo una villa a Tivoli dove erano riprodotti con i loro nomi i luoghi più celebri delle province dell'impero, come il Liceo, l'Accademia, il Pritaneo, la città di Canopo, il Pecile e la valle di Tempe; e per non tralasciare proprio nulla, vi aveva fatto raffigurare anche gli inferi. »
(Historia Augusta, Vita Hadriani, XXVI, 5)
Tra le molte ville rustiche che fin dall'età repubblicana erano sorte fra Roma e Tivoli, ne esisteva già una costruita nel periodo sillano, ingrandita all'epoca di Giulio Cesare, pervenuta forse in proprietà della moglie di Adriano, Vibia Sabina, che proveniva da una famiglia di antica nobiltà italica[3]. Fu questo il primo nucleo della villa, incorporato poi nel Palazzo imperiale.

Lo studio del sistema di canalizzazione e delle fognature sembra indicare che la progettazione del complesso sia stata unitaria, anche se dai bolli laterizi ritrovati in circa metà degli edifici emergono tre fasi di costruzione particolarmente attive tra il 118 e il 121, il 125 e il 128 e il 134-138 (consentendo di abbracciare un intervallo presumibile di costruzione tra il 118 e il 138). Di ritorno a Roma nei primi mesi del 134, Adriano poté godere della villa solamente gli ultimi anni della sua esistenza, fino alla morte avvenuta a Baia il 10 luglio 138.[4]

La complessità della residenza, più che alle numerose sfaccettature della personalità di Adriano, fu dovuta alla necessità di soddisfare esigenze e funzioni diverse (residenziali, di rappresentanza, di servizio), oltre che all'andamento frastagliato del terreno; la magnificenza e l'articolazione delle costruzioni rispecchiano le idee innovative dell'imperatore in campo architettonico. Si afferma comunemente che egli volle riprodurre nella sua villa i luoghi e i monumenti che più lo avevano colpito durante i suoi viaggi nelle province dell'impero, sulla base di un passo del suo biografo tardo-antico Elio Sparziano.[5] In realtà gli edifici della villa presentano tutti i caratteri più innovativi dell'architettura romana del tempo, per cui le riproduzioni adrianee di monumenti della Grecia o dell'Egitto vanno intese più come suggestioni evocative che come ricostruzioni reali.

Ciò lo portò ad avere una visione del ruolo di imperatore più assolutistica. Proprio per questo, per separarsi dal popolo e dai sudditi (così come lui lo intendeva) decise di erigere questa imponente costruzione, che a tutt'oggi resta un patrimonio storico molto importante e una testimonianza della grande capacità dei Romani nella costruzione degli edifici. La villa fu realizzata in tre fasi successive dal 121 al 137 d.C. Si tratta di una vera e propria città, estesa su di un'area di circa 300 ha, nella quale il grandioso complesso si presenta diviso in quattro nuclei diversamente caratterizzati.

Gli scavi[modifica | modifica wikitesto]

Modellino ricostruttivo della villa di Adriano
L'area che oggi riconosciamo come pertinente alla villa occupa di certo circa 120 ha: si tratta di una estensione di terreno vastissima per un complesso privato, sia pure di proprietà imperiale[6]. Non è tuttavia certo che la perimetrazione attuale comprenda l'intera superficie del comprensorio adrianeo.

Dopo la morte di Adriano la villa continuò ad essere utilizzata, come mostrano i bolli laterizi pertinenti a restauri del III secolo, ma in seguito fu progressivamente abbandonata e durante il medioevo ridotta a terreno agricolo, salvo essere utilizzata come cava di materiali edili di pregio (marmi, mosaici, decorazioni) per le case di Tivoli, e come riserva di pietra da cui estrarre calce.

Il primo a rinominarla, dopo secoli, fu l'umanista Flavio Biondo nel 1450, e una decina di anni dopo essa venne visitata e citata anche da papa Pio II Piccolomini. Si animò così – dalla fine del secolo – l'interesse di umanisti, mecenati, papi, cardinali e nobili per la villa. Interesse che fu, innegabilmente, soprattutto predatorio: alla ricerca di statue e marmi furono fatti eseguire scavi da papa Alessandro VI Borgia, poi dal cardinale Alessandro Farnese, poi dal cardinale Ippolito II d'Este, per il quale Pirro Ligorio prelevò grandi quantità di materiali destinati sia alla villa di Tivoli che a quella di Roma[7].

Al Ligorio si deve la prima rilevazione topografica della villa, datata attorno al 1560 e attualmente nella biblioteca di Windsor. La villa riscoperta fu frequentata – sia per conto dei ricchi committenti che per propria ispirazione e passione, anche da architetti come Antonio da Sangallo il Vecchio e Francesco Borromini, e artisti come Piranesi[8]. Dal XVI al XIX secolo si moltiplicarono gli scavi, anche da parte dei proprietari dei terreni che insistevano sull'area della villa, come il conte Fede o i Gesuiti ai quali apparteneva l'area del Pecile, e le oltre 300 opere maggiori ritrovate (ritratti, statue, erme, rilievi, sculture, mosaici) furono disperse per le collezioni private ed i musei di mezza Europa.

Nel 1870 lo Stato acquistò il comprensorio dalla famiglia Braschi che era in quel periodo la maggiore proprietaria dei terreni (altre parti, tuttavia, rimasero – e sono ancora – in mano a privati). Furono intrapresi scavi e restauri, che riportarono alla luce la stupefacente architettura degli edifici e talvolta anche stucchi e mosaici superstiti. Le ricerche continuano, ma l'esplorazione del sito è lungi dall'essere completata.

Villa Adriana è stata dichiarata nel 1999 patrimonio dell'umanità, con questa motivazione:

« Villa Adriana è un capolavoro che riunisce in maniera unica le forme più alte di espressione delle culture materiali dell'antico mondo mediterraneo. Lo studio dei monumenti che compongono la Villa Adriana ha svolto un ruolo decisivo nella scoperta degli elementi dell'architettura classica da parte degli architetti del Rinascimento e del Barocco. Essa ha, inoltre, profondamente influenzato un gran numero di architetti e disegnatori del XIX e del XX secolo. »
Questo riconoscimento è stato tuttavia messo in discussione dallo stesso World Heritage Committee dell'UNESCO, a causa di autorizzazioni edilizie rilasciate dal Comune di Tivoli nel 2011. Nel 2013 si è tenuta la 36ª riunione annuale del World Heritage Committee dell'UNESCO che si occupa dei siti considerati patrimonio dell'umanità, in cui è stata fatta richiesta all'Italia di informare il comitato di qualsiasi progetto di sviluppo nell'area buffer (zona cuscinetto stabilita con un accordo internazionale tra la Repubblica italiana e l'UNESCO per proteggere l'area archeologica). Il comitato potrebbe proporre la revoca dello status di patrimonio dell'umanità in seguito alla costruzione di alcuni edifici nell'area buffer come approvato in una delibera del 2011 del comune di Tivoli.

Tivoli: Villa Adriana. by vincenzovacca

© vincenzovacca, all rights reserved.

Tivoli: Villa Adriana.

Villa Adriana fu una residenza imperiale extraurbana a partire dal II secolo. Voluta dall'imperatore Adriano (76-138), si trova presso Tivoli (l'antica Tibur), oggi in città metropolitana di Roma Capitale. Realizzata gradualmente nella prima metà del II secolo a pochi chilometri dall'antica Tibur, la struttura appare un ricco complesso di edifici estesi su una vasta area, che doveva coprire circa 120 ha, in una zona ricca di fonti d'acqua a 17 miglia romane dall'Urbs[1]. Nel 1999 Villa Adriana è stata dichiarata Patrimonio dell'umanità dall'UNESCO.
Nel 2014 è stato il ventiseiesimo sito statale italiano più visitato, con 232 147 visitatori e un introito lordo totale di 546 598 EuroSi trova sui Monti Tiburtini, a circa 28 km (17 miglia romane) da Roma, dalla quale era raggiungibile sia per mezzo della via Tiburtina Valeria o della via Prenestina, sia tramite la navigazione sul fiume Aniene. La Villa si trovava sulla destra della via Tiburtina, poco oltre il ponte Lucano, prolungandosi fin quasi alle pendici del monte Ripoli su cui sorge Tivoli.

L'area prescelta si estendeva tra le valli dei fossi di Risicoli o di Roccabruna ad ovest e dell'Acqua Ferrata ad est, che, riunitisi, si gettano poi nell'Aniene; era una zona ricca di acque e vi passavano quattro degli antichi acquedotti romani che servivano Roma (Anio Vetus, Anio Novus, Aqua Marcia e Aqua Claudia). Nei pressi esiste tuttora la sorgente di acqua sulfurea delle Acque Albule (Bagni di Tivoli), che era conosciuta ed apprezzata dall'imperatore. Nei dintorni inoltre erano presenti numerose cave di materiali da costruzione (travertino, tufo e calcare per la realizzazione della calce).« Fece costruire con eccezionale sfarzo una villa a Tivoli dove erano riprodotti con i loro nomi i luoghi più celebri delle province dell'impero, come il Liceo, l'Accademia, il Pritaneo, la città di Canopo, il Pecile e la valle di Tempe; e per non tralasciare proprio nulla, vi aveva fatto raffigurare anche gli inferi. »
(Historia Augusta, Vita Hadriani, XXVI, 5)
Tra le molte ville rustiche che fin dall'età repubblicana erano sorte fra Roma e Tivoli, ne esisteva già una costruita nel periodo sillano, ingrandita all'epoca di Giulio Cesare, pervenuta forse in proprietà della moglie di Adriano, Vibia Sabina, che proveniva da una famiglia di antica nobiltà italica[3]. Fu questo il primo nucleo della villa, incorporato poi nel Palazzo imperiale.

Lo studio del sistema di canalizzazione e delle fognature sembra indicare che la progettazione del complesso sia stata unitaria, anche se dai bolli laterizi ritrovati in circa metà degli edifici emergono tre fasi di costruzione particolarmente attive tra il 118 e il 121, il 125 e il 128 e il 134-138 (consentendo di abbracciare un intervallo presumibile di costruzione tra il 118 e il 138). Di ritorno a Roma nei primi mesi del 134, Adriano poté godere della villa solamente gli ultimi anni della sua esistenza, fino alla morte avvenuta a Baia il 10 luglio 138.[4]

La complessità della residenza, più che alle numerose sfaccettature della personalità di Adriano, fu dovuta alla necessità di soddisfare esigenze e funzioni diverse (residenziali, di rappresentanza, di servizio), oltre che all'andamento frastagliato del terreno; la magnificenza e l'articolazione delle costruzioni rispecchiano le idee innovative dell'imperatore in campo architettonico. Si afferma comunemente che egli volle riprodurre nella sua villa i luoghi e i monumenti che più lo avevano colpito durante i suoi viaggi nelle province dell'impero, sulla base di un passo del suo biografo tardo-antico Elio Sparziano.[5] In realtà gli edifici della villa presentano tutti i caratteri più innovativi dell'architettura romana del tempo, per cui le riproduzioni adrianee di monumenti della Grecia o dell'Egitto vanno intese più come suggestioni evocative che come ricostruzioni reali.

Ciò lo portò ad avere una visione del ruolo di imperatore più assolutistica. Proprio per questo, per separarsi dal popolo e dai sudditi (così come lui lo intendeva) decise di erigere questa imponente costruzione, che a tutt'oggi resta un patrimonio storico molto importante e una testimonianza della grande capacità dei Romani nella costruzione degli edifici. La villa fu realizzata in tre fasi successive dal 121 al 137 d.C. Si tratta di una vera e propria città, estesa su di un'area di circa 300 ha, nella quale il grandioso complesso si presenta diviso in quattro nuclei diversamente caratterizzati.

Gli scavi[modifica | modifica wikitesto]

Modellino ricostruttivo della villa di Adriano
L'area che oggi riconosciamo come pertinente alla villa occupa di certo circa 120 ha: si tratta di una estensione di terreno vastissima per un complesso privato, sia pure di proprietà imperiale[6]. Non è tuttavia certo che la perimetrazione attuale comprenda l'intera superficie del comprensorio adrianeo.

Dopo la morte di Adriano la villa continuò ad essere utilizzata, come mostrano i bolli laterizi pertinenti a restauri del III secolo, ma in seguito fu progressivamente abbandonata e durante il medioevo ridotta a terreno agricolo, salvo essere utilizzata come cava di materiali edili di pregio (marmi, mosaici, decorazioni) per le case di Tivoli, e come riserva di pietra da cui estrarre calce.

Il primo a rinominarla, dopo secoli, fu l'umanista Flavio Biondo nel 1450, e una decina di anni dopo essa venne visitata e citata anche da papa Pio II Piccolomini. Si animò così – dalla fine del secolo – l'interesse di umanisti, mecenati, papi, cardinali e nobili per la villa. Interesse che fu, innegabilmente, soprattutto predatorio: alla ricerca di statue e marmi furono fatti eseguire scavi da papa Alessandro VI Borgia, poi dal cardinale Alessandro Farnese, poi dal cardinale Ippolito II d'Este, per il quale Pirro Ligorio prelevò grandi quantità di materiali destinati sia alla villa di Tivoli che a quella di Roma[7].

Al Ligorio si deve la prima rilevazione topografica della villa, datata attorno al 1560 e attualmente nella biblioteca di Windsor. La villa riscoperta fu frequentata – sia per conto dei ricchi committenti che per propria ispirazione e passione, anche da architetti come Antonio da Sangallo il Vecchio e Francesco Borromini, e artisti come Piranesi[8]. Dal XVI al XIX secolo si moltiplicarono gli scavi, anche da parte dei proprietari dei terreni che insistevano sull'area della villa, come il conte Fede o i Gesuiti ai quali apparteneva l'area del Pecile, e le oltre 300 opere maggiori ritrovate (ritratti, statue, erme, rilievi, sculture, mosaici) furono disperse per le collezioni private ed i musei di mezza Europa.

Nel 1870 lo Stato acquistò il comprensorio dalla famiglia Braschi che era in quel periodo la maggiore proprietaria dei terreni (altre parti, tuttavia, rimasero – e sono ancora – in mano a privati). Furono intrapresi scavi e restauri, che riportarono alla luce la stupefacente architettura degli edifici e talvolta anche stucchi e mosaici superstiti. Le ricerche continuano, ma l'esplorazione del sito è lungi dall'essere completata.

Villa Adriana è stata dichiarata nel 1999 patrimonio dell'umanità, con questa motivazione:

« Villa Adriana è un capolavoro che riunisce in maniera unica le forme più alte di espressione delle culture materiali dell'antico mondo mediterraneo. Lo studio dei monumenti che compongono la Villa Adriana ha svolto un ruolo decisivo nella scoperta degli elementi dell'architettura classica da parte degli architetti del Rinascimento e del Barocco. Essa ha, inoltre, profondamente influenzato un gran numero di architetti e disegnatori del XIX e del XX secolo. »
Questo riconoscimento è stato tuttavia messo in discussione dallo stesso World Heritage Committee dell'UNESCO, a causa di autorizzazioni edilizie rilasciate dal Comune di Tivoli nel 2011. Nel 2013 si è tenuta la 36ª riunione annuale del World Heritage Committee dell'UNESCO che si occupa dei siti considerati patrimonio dell'umanità, in cui è stata fatta richiesta all'Italia di informare il comitato di qualsiasi progetto di sviluppo nell'area buffer (zona cuscinetto stabilita con un accordo internazionale tra la Repubblica italiana e l'UNESCO per proteggere l'area archeologica). Il comitato potrebbe proporre la revoca dello status di patrimonio dell'umanità in seguito alla costruzione di alcuni edifici nell'area buffer come approvato in una delibera del 2011 del comune di Tivoli.

Tivoli: Villa Adriana. by vincenzovacca

© vincenzovacca, all rights reserved.

Tivoli: Villa Adriana.

Villa Adriana fu una residenza imperiale extraurbana a partire dal II secolo. Voluta dall'imperatore Adriano (76-138), si trova presso Tivoli (l'antica Tibur), oggi in città metropolitana di Roma Capitale. Realizzata gradualmente nella prima metà del II secolo a pochi chilometri dall'antica Tibur, la struttura appare un ricco complesso di edifici estesi su una vasta area, che doveva coprire circa 120 ha, in una zona ricca di fonti d'acqua a 17 miglia romane dall'Urbs[1]. Nel 1999 Villa Adriana è stata dichiarata Patrimonio dell'umanità dall'UNESCO.
Nel 2014 è stato il ventiseiesimo sito statale italiano più visitato, con 232 147 visitatori e un introito lordo totale di 546 598 EuroSi trova sui Monti Tiburtini, a circa 28 km (17 miglia romane) da Roma, dalla quale era raggiungibile sia per mezzo della via Tiburtina Valeria o della via Prenestina, sia tramite la navigazione sul fiume Aniene. La Villa si trovava sulla destra della via Tiburtina, poco oltre il ponte Lucano, prolungandosi fin quasi alle pendici del monte Ripoli su cui sorge Tivoli.

L'area prescelta si estendeva tra le valli dei fossi di Risicoli o di Roccabruna ad ovest e dell'Acqua Ferrata ad est, che, riunitisi, si gettano poi nell'Aniene; era una zona ricca di acque e vi passavano quattro degli antichi acquedotti romani che servivano Roma (Anio Vetus, Anio Novus, Aqua Marcia e Aqua Claudia). Nei pressi esiste tuttora la sorgente di acqua sulfurea delle Acque Albule (Bagni di Tivoli), che era conosciuta ed apprezzata dall'imperatore. Nei dintorni inoltre erano presenti numerose cave di materiali da costruzione (travertino, tufo e calcare per la realizzazione della calce).« Fece costruire con eccezionale sfarzo una villa a Tivoli dove erano riprodotti con i loro nomi i luoghi più celebri delle province dell'impero, come il Liceo, l'Accademia, il Pritaneo, la città di Canopo, il Pecile e la valle di Tempe; e per non tralasciare proprio nulla, vi aveva fatto raffigurare anche gli inferi. »
(Historia Augusta, Vita Hadriani, XXVI, 5)
Tra le molte ville rustiche che fin dall'età repubblicana erano sorte fra Roma e Tivoli, ne esisteva già una costruita nel periodo sillano, ingrandita all'epoca di Giulio Cesare, pervenuta forse in proprietà della moglie di Adriano, Vibia Sabina, che proveniva da una famiglia di antica nobiltà italica[3]. Fu questo il primo nucleo della villa, incorporato poi nel Palazzo imperiale.

Lo studio del sistema di canalizzazione e delle fognature sembra indicare che la progettazione del complesso sia stata unitaria, anche se dai bolli laterizi ritrovati in circa metà degli edifici emergono tre fasi di costruzione particolarmente attive tra il 118 e il 121, il 125 e il 128 e il 134-138 (consentendo di abbracciare un intervallo presumibile di costruzione tra il 118 e il 138). Di ritorno a Roma nei primi mesi del 134, Adriano poté godere della villa solamente gli ultimi anni della sua esistenza, fino alla morte avvenuta a Baia il 10 luglio 138.[4]

La complessità della residenza, più che alle numerose sfaccettature della personalità di Adriano, fu dovuta alla necessità di soddisfare esigenze e funzioni diverse (residenziali, di rappresentanza, di servizio), oltre che all'andamento frastagliato del terreno; la magnificenza e l'articolazione delle costruzioni rispecchiano le idee innovative dell'imperatore in campo architettonico. Si afferma comunemente che egli volle riprodurre nella sua villa i luoghi e i monumenti che più lo avevano colpito durante i suoi viaggi nelle province dell'impero, sulla base di un passo del suo biografo tardo-antico Elio Sparziano.[5] In realtà gli edifici della villa presentano tutti i caratteri più innovativi dell'architettura romana del tempo, per cui le riproduzioni adrianee di monumenti della Grecia o dell'Egitto vanno intese più come suggestioni evocative che come ricostruzioni reali.

Ciò lo portò ad avere una visione del ruolo di imperatore più assolutistica. Proprio per questo, per separarsi dal popolo e dai sudditi (così come lui lo intendeva) decise di erigere questa imponente costruzione, che a tutt'oggi resta un patrimonio storico molto importante e una testimonianza della grande capacità dei Romani nella costruzione degli edifici. La villa fu realizzata in tre fasi successive dal 121 al 137 d.C. Si tratta di una vera e propria città, estesa su di un'area di circa 300 ha, nella quale il grandioso complesso si presenta diviso in quattro nuclei diversamente caratterizzati.

Gli scavi[modifica | modifica wikitesto]

Modellino ricostruttivo della villa di Adriano
L'area che oggi riconosciamo come pertinente alla villa occupa di certo circa 120 ha: si tratta di una estensione di terreno vastissima per un complesso privato, sia pure di proprietà imperiale[6]. Non è tuttavia certo che la perimetrazione attuale comprenda l'intera superficie del comprensorio adrianeo.

Dopo la morte di Adriano la villa continuò ad essere utilizzata, come mostrano i bolli laterizi pertinenti a restauri del III secolo, ma in seguito fu progressivamente abbandonata e durante il medioevo ridotta a terreno agricolo, salvo essere utilizzata come cava di materiali edili di pregio (marmi, mosaici, decorazioni) per le case di Tivoli, e come riserva di pietra da cui estrarre calce.

Il primo a rinominarla, dopo secoli, fu l'umanista Flavio Biondo nel 1450, e una decina di anni dopo essa venne visitata e citata anche da papa Pio II Piccolomini. Si animò così – dalla fine del secolo – l'interesse di umanisti, mecenati, papi, cardinali e nobili per la villa. Interesse che fu, innegabilmente, soprattutto predatorio: alla ricerca di statue e marmi furono fatti eseguire scavi da papa Alessandro VI Borgia, poi dal cardinale Alessandro Farnese, poi dal cardinale Ippolito II d'Este, per il quale Pirro Ligorio prelevò grandi quantità di materiali destinati sia alla villa di Tivoli che a quella di Roma[7].

Al Ligorio si deve la prima rilevazione topografica della villa, datata attorno al 1560 e attualmente nella biblioteca di Windsor. La villa riscoperta fu frequentata – sia per conto dei ricchi committenti che per propria ispirazione e passione, anche da architetti come Antonio da Sangallo il Vecchio e Francesco Borromini, e artisti come Piranesi[8]. Dal XVI al XIX secolo si moltiplicarono gli scavi, anche da parte dei proprietari dei terreni che insistevano sull'area della villa, come il conte Fede o i Gesuiti ai quali apparteneva l'area del Pecile, e le oltre 300 opere maggiori ritrovate (ritratti, statue, erme, rilievi, sculture, mosaici) furono disperse per le collezioni private ed i musei di mezza Europa.

Nel 1870 lo Stato acquistò il comprensorio dalla famiglia Braschi che era in quel periodo la maggiore proprietaria dei terreni (altre parti, tuttavia, rimasero – e sono ancora – in mano a privati). Furono intrapresi scavi e restauri, che riportarono alla luce la stupefacente architettura degli edifici e talvolta anche stucchi e mosaici superstiti. Le ricerche continuano, ma l'esplorazione del sito è lungi dall'essere completata.

Villa Adriana è stata dichiarata nel 1999 patrimonio dell'umanità, con questa motivazione:

« Villa Adriana è un capolavoro che riunisce in maniera unica le forme più alte di espressione delle culture materiali dell'antico mondo mediterraneo. Lo studio dei monumenti che compongono la Villa Adriana ha svolto un ruolo decisivo nella scoperta degli elementi dell'architettura classica da parte degli architetti del Rinascimento e del Barocco. Essa ha, inoltre, profondamente influenzato un gran numero di architetti e disegnatori del XIX e del XX secolo. »
Questo riconoscimento è stato tuttavia messo in discussione dallo stesso World Heritage Committee dell'UNESCO, a causa di autorizzazioni edilizie rilasciate dal Comune di Tivoli nel 2011. Nel 2013 si è tenuta la 36ª riunione annuale del World Heritage Committee dell'UNESCO che si occupa dei siti considerati patrimonio dell'umanità, in cui è stata fatta richiesta all'Italia di informare il comitato di qualsiasi progetto di sviluppo nell'area buffer (zona cuscinetto stabilita con un accordo internazionale tra la Repubblica italiana e l'UNESCO per proteggere l'area archeologica). Il comitato potrebbe proporre la revoca dello status di patrimonio dell'umanità in seguito alla costruzione di alcuni edifici nell'area buffer come approvato in una delibera del 2011 del comune di Tivoli.

Tivoli: Villa Adriana. by vincenzovacca

© vincenzovacca, all rights reserved.

Tivoli: Villa Adriana.

Villa Adriana fu una residenza imperiale extraurbana a partire dal II secolo. Voluta dall'imperatore Adriano (76-138), si trova presso Tivoli (l'antica Tibur), oggi in città metropolitana di Roma Capitale. Realizzata gradualmente nella prima metà del II secolo a pochi chilometri dall'antica Tibur, la struttura appare un ricco complesso di edifici estesi su una vasta area, che doveva coprire circa 120 ha, in una zona ricca di fonti d'acqua a 17 miglia romane dall'Urbs[1]. Nel 1999 Villa Adriana è stata dichiarata Patrimonio dell'umanità dall'UNESCO.
Nel 2014 è stato il ventiseiesimo sito statale italiano più visitato, con 232 147 visitatori e un introito lordo totale di 546 598 EuroSi trova sui Monti Tiburtini, a circa 28 km (17 miglia romane) da Roma, dalla quale era raggiungibile sia per mezzo della via Tiburtina Valeria o della via Prenestina, sia tramite la navigazione sul fiume Aniene. La Villa si trovava sulla destra della via Tiburtina, poco oltre il ponte Lucano, prolungandosi fin quasi alle pendici del monte Ripoli su cui sorge Tivoli.

L'area prescelta si estendeva tra le valli dei fossi di Risicoli o di Roccabruna ad ovest e dell'Acqua Ferrata ad est, che, riunitisi, si gettano poi nell'Aniene; era una zona ricca di acque e vi passavano quattro degli antichi acquedotti romani che servivano Roma (Anio Vetus, Anio Novus, Aqua Marcia e Aqua Claudia). Nei pressi esiste tuttora la sorgente di acqua sulfurea delle Acque Albule (Bagni di Tivoli), che era conosciuta ed apprezzata dall'imperatore. Nei dintorni inoltre erano presenti numerose cave di materiali da costruzione (travertino, tufo e calcare per la realizzazione della calce).« Fece costruire con eccezionale sfarzo una villa a Tivoli dove erano riprodotti con i loro nomi i luoghi più celebri delle province dell'impero, come il Liceo, l'Accademia, il Pritaneo, la città di Canopo, il Pecile e la valle di Tempe; e per non tralasciare proprio nulla, vi aveva fatto raffigurare anche gli inferi. »
(Historia Augusta, Vita Hadriani, XXVI, 5)
Tra le molte ville rustiche che fin dall'età repubblicana erano sorte fra Roma e Tivoli, ne esisteva già una costruita nel periodo sillano, ingrandita all'epoca di Giulio Cesare, pervenuta forse in proprietà della moglie di Adriano, Vibia Sabina, che proveniva da una famiglia di antica nobiltà italica[3]. Fu questo il primo nucleo della villa, incorporato poi nel Palazzo imperiale.

Lo studio del sistema di canalizzazione e delle fognature sembra indicare che la progettazione del complesso sia stata unitaria, anche se dai bolli laterizi ritrovati in circa metà degli edifici emergono tre fasi di costruzione particolarmente attive tra il 118 e il 121, il 125 e il 128 e il 134-138 (consentendo di abbracciare un intervallo presumibile di costruzione tra il 118 e il 138). Di ritorno a Roma nei primi mesi del 134, Adriano poté godere della villa solamente gli ultimi anni della sua esistenza, fino alla morte avvenuta a Baia il 10 luglio 138.[4]

La complessità della residenza, più che alle numerose sfaccettature della personalità di Adriano, fu dovuta alla necessità di soddisfare esigenze e funzioni diverse (residenziali, di rappresentanza, di servizio), oltre che all'andamento frastagliato del terreno; la magnificenza e l'articolazione delle costruzioni rispecchiano le idee innovative dell'imperatore in campo architettonico. Si afferma comunemente che egli volle riprodurre nella sua villa i luoghi e i monumenti che più lo avevano colpito durante i suoi viaggi nelle province dell'impero, sulla base di un passo del suo biografo tardo-antico Elio Sparziano.[5] In realtà gli edifici della villa presentano tutti i caratteri più innovativi dell'architettura romana del tempo, per cui le riproduzioni adrianee di monumenti della Grecia o dell'Egitto vanno intese più come suggestioni evocative che come ricostruzioni reali.

Ciò lo portò ad avere una visione del ruolo di imperatore più assolutistica. Proprio per questo, per separarsi dal popolo e dai sudditi (così come lui lo intendeva) decise di erigere questa imponente costruzione, che a tutt'oggi resta un patrimonio storico molto importante e una testimonianza della grande capacità dei Romani nella costruzione degli edifici. La villa fu realizzata in tre fasi successive dal 121 al 137 d.C. Si tratta di una vera e propria città, estesa su di un'area di circa 300 ha, nella quale il grandioso complesso si presenta diviso in quattro nuclei diversamente caratterizzati.

Gli scavi[modifica | modifica wikitesto]

Modellino ricostruttivo della villa di Adriano
L'area che oggi riconosciamo come pertinente alla villa occupa di certo circa 120 ha: si tratta di una estensione di terreno vastissima per un complesso privato, sia pure di proprietà imperiale[6]. Non è tuttavia certo che la perimetrazione attuale comprenda l'intera superficie del comprensorio adrianeo.

Dopo la morte di Adriano la villa continuò ad essere utilizzata, come mostrano i bolli laterizi pertinenti a restauri del III secolo, ma in seguito fu progressivamente abbandonata e durante il medioevo ridotta a terreno agricolo, salvo essere utilizzata come cava di materiali edili di pregio (marmi, mosaici, decorazioni) per le case di Tivoli, e come riserva di pietra da cui estrarre calce.

Il primo a rinominarla, dopo secoli, fu l'umanista Flavio Biondo nel 1450, e una decina di anni dopo essa venne visitata e citata anche da papa Pio II Piccolomini. Si animò così – dalla fine del secolo – l'interesse di umanisti, mecenati, papi, cardinali e nobili per la villa. Interesse che fu, innegabilmente, soprattutto predatorio: alla ricerca di statue e marmi furono fatti eseguire scavi da papa Alessandro VI Borgia, poi dal cardinale Alessandro Farnese, poi dal cardinale Ippolito II d'Este, per il quale Pirro Ligorio prelevò grandi quantità di materiali destinati sia alla villa di Tivoli che a quella di Roma[7].

Al Ligorio si deve la prima rilevazione topografica della villa, datata attorno al 1560 e attualmente nella biblioteca di Windsor. La villa riscoperta fu frequentata – sia per conto dei ricchi committenti che per propria ispirazione e passione, anche da architetti come Antonio da Sangallo il Vecchio e Francesco Borromini, e artisti come Piranesi[8]. Dal XVI al XIX secolo si moltiplicarono gli scavi, anche da parte dei proprietari dei terreni che insistevano sull'area della villa, come il conte Fede o i Gesuiti ai quali apparteneva l'area del Pecile, e le oltre 300 opere maggiori ritrovate (ritratti, statue, erme, rilievi, sculture, mosaici) furono disperse per le collezioni private ed i musei di mezza Europa.

Nel 1870 lo Stato acquistò il comprensorio dalla famiglia Braschi che era in quel periodo la maggiore proprietaria dei terreni (altre parti, tuttavia, rimasero – e sono ancora – in mano a privati). Furono intrapresi scavi e restauri, che riportarono alla luce la stupefacente architettura degli edifici e talvolta anche stucchi e mosaici superstiti. Le ricerche continuano, ma l'esplorazione del sito è lungi dall'essere completata.

Villa Adriana è stata dichiarata nel 1999 patrimonio dell'umanità, con questa motivazione:

« Villa Adriana è un capolavoro che riunisce in maniera unica le forme più alte di espressione delle culture materiali dell'antico mondo mediterraneo. Lo studio dei monumenti che compongono la Villa Adriana ha svolto un ruolo decisivo nella scoperta degli elementi dell'architettura classica da parte degli architetti del Rinascimento e del Barocco. Essa ha, inoltre, profondamente influenzato un gran numero di architetti e disegnatori del XIX e del XX secolo. »
Questo riconoscimento è stato tuttavia messo in discussione dallo stesso World Heritage Committee dell'UNESCO, a causa di autorizzazioni edilizie rilasciate dal Comune di Tivoli nel 2011. Nel 2013 si è tenuta la 36ª riunione annuale del World Heritage Committee dell'UNESCO che si occupa dei siti considerati patrimonio dell'umanità, in cui è stata fatta richiesta all'Italia di informare il comitato di qualsiasi progetto di sviluppo nell'area buffer (zona cuscinetto stabilita con un accordo internazionale tra la Repubblica italiana e l'UNESCO per proteggere l'area archeologica). Il comitato potrebbe proporre la revoca dello status di patrimonio dell'umanità in seguito alla costruzione di alcuni edifici nell'area buffer come approvato in una delibera del 2011 del comune di Tivoli.

Tivoli: Villa Adriana. by vincenzovacca

© vincenzovacca, all rights reserved.

Tivoli: Villa Adriana.

Villa Adriana fu una residenza imperiale extraurbana a partire dal II secolo. Voluta dall'imperatore Adriano (76-138), si trova presso Tivoli (l'antica Tibur), oggi in città metropolitana di Roma Capitale. Realizzata gradualmente nella prima metà del II secolo a pochi chilometri dall'antica Tibur, la struttura appare un ricco complesso di edifici estesi su una vasta area, che doveva coprire circa 120 ha, in una zona ricca di fonti d'acqua a 17 miglia romane dall'Urbs[1]. Nel 1999 Villa Adriana è stata dichiarata Patrimonio dell'umanità dall'UNESCO.
Nel 2014 è stato il ventiseiesimo sito statale italiano più visitato, con 232 147 visitatori e un introito lordo totale di 546 598 EuroSi trova sui Monti Tiburtini, a circa 28 km (17 miglia romane) da Roma, dalla quale era raggiungibile sia per mezzo della via Tiburtina Valeria o della via Prenestina, sia tramite la navigazione sul fiume Aniene. La Villa si trovava sulla destra della via Tiburtina, poco oltre il ponte Lucano, prolungandosi fin quasi alle pendici del monte Ripoli su cui sorge Tivoli.

L'area prescelta si estendeva tra le valli dei fossi di Risicoli o di Roccabruna ad ovest e dell'Acqua Ferrata ad est, che, riunitisi, si gettano poi nell'Aniene; era una zona ricca di acque e vi passavano quattro degli antichi acquedotti romani che servivano Roma (Anio Vetus, Anio Novus, Aqua Marcia e Aqua Claudia). Nei pressi esiste tuttora la sorgente di acqua sulfurea delle Acque Albule (Bagni di Tivoli), che era conosciuta ed apprezzata dall'imperatore. Nei dintorni inoltre erano presenti numerose cave di materiali da costruzione (travertino, tufo e calcare per la realizzazione della calce).« Fece costruire con eccezionale sfarzo una villa a Tivoli dove erano riprodotti con i loro nomi i luoghi più celebri delle province dell'impero, come il Liceo, l'Accademia, il Pritaneo, la città di Canopo, il Pecile e la valle di Tempe; e per non tralasciare proprio nulla, vi aveva fatto raffigurare anche gli inferi. »
(Historia Augusta, Vita Hadriani, XXVI, 5)
Tra le molte ville rustiche che fin dall'età repubblicana erano sorte fra Roma e Tivoli, ne esisteva già una costruita nel periodo sillano, ingrandita all'epoca di Giulio Cesare, pervenuta forse in proprietà della moglie di Adriano, Vibia Sabina, che proveniva da una famiglia di antica nobiltà italica[3]. Fu questo il primo nucleo della villa, incorporato poi nel Palazzo imperiale.

Lo studio del sistema di canalizzazione e delle fognature sembra indicare che la progettazione del complesso sia stata unitaria, anche se dai bolli laterizi ritrovati in circa metà degli edifici emergono tre fasi di costruzione particolarmente attive tra il 118 e il 121, il 125 e il 128 e il 134-138 (consentendo di abbracciare un intervallo presumibile di costruzione tra il 118 e il 138). Di ritorno a Roma nei primi mesi del 134, Adriano poté godere della villa solamente gli ultimi anni della sua esistenza, fino alla morte avvenuta a Baia il 10 luglio 138.[4]

La complessità della residenza, più che alle numerose sfaccettature della personalità di Adriano, fu dovuta alla necessità di soddisfare esigenze e funzioni diverse (residenziali, di rappresentanza, di servizio), oltre che all'andamento frastagliato del terreno; la magnificenza e l'articolazione delle costruzioni rispecchiano le idee innovative dell'imperatore in campo architettonico. Si afferma comunemente che egli volle riprodurre nella sua villa i luoghi e i monumenti che più lo avevano colpito durante i suoi viaggi nelle province dell'impero, sulla base di un passo del suo biografo tardo-antico Elio Sparziano.[5] In realtà gli edifici della villa presentano tutti i caratteri più innovativi dell'architettura romana del tempo, per cui le riproduzioni adrianee di monumenti della Grecia o dell'Egitto vanno intese più come suggestioni evocative che come ricostruzioni reali.

Ciò lo portò ad avere una visione del ruolo di imperatore più assolutistica. Proprio per questo, per separarsi dal popolo e dai sudditi (così come lui lo intendeva) decise di erigere questa imponente costruzione, che a tutt'oggi resta un patrimonio storico molto importante e una testimonianza della grande capacità dei Romani nella costruzione degli edifici. La villa fu realizzata in tre fasi successive dal 121 al 137 d.C. Si tratta di una vera e propria città, estesa su di un'area di circa 300 ha, nella quale il grandioso complesso si presenta diviso in quattro nuclei diversamente caratterizzati.

Gli scavi[modifica | modifica wikitesto]

Modellino ricostruttivo della villa di Adriano
L'area che oggi riconosciamo come pertinente alla villa occupa di certo circa 120 ha: si tratta di una estensione di terreno vastissima per un complesso privato, sia pure di proprietà imperiale[6]. Non è tuttavia certo che la perimetrazione attuale comprenda l'intera superficie del comprensorio adrianeo.

Dopo la morte di Adriano la villa continuò ad essere utilizzata, come mostrano i bolli laterizi pertinenti a restauri del III secolo, ma in seguito fu progressivamente abbandonata e durante il medioevo ridotta a terreno agricolo, salvo essere utilizzata come cava di materiali edili di pregio (marmi, mosaici, decorazioni) per le case di Tivoli, e come riserva di pietra da cui estrarre calce.

Il primo a rinominarla, dopo secoli, fu l'umanista Flavio Biondo nel 1450, e una decina di anni dopo essa venne visitata e citata anche da papa Pio II Piccolomini. Si animò così – dalla fine del secolo – l'interesse di umanisti, mecenati, papi, cardinali e nobili per la villa. Interesse che fu, innegabilmente, soprattutto predatorio: alla ricerca di statue e marmi furono fatti eseguire scavi da papa Alessandro VI Borgia, poi dal cardinale Alessandro Farnese, poi dal cardinale Ippolito II d'Este, per il quale Pirro Ligorio prelevò grandi quantità di materiali destinati sia alla villa di Tivoli che a quella di Roma[7].

Al Ligorio si deve la prima rilevazione topografica della villa, datata attorno al 1560 e attualmente nella biblioteca di Windsor. La villa riscoperta fu frequentata – sia per conto dei ricchi committenti che per propria ispirazione e passione, anche da architetti come Antonio da Sangallo il Vecchio e Francesco Borromini, e artisti come Piranesi[8]. Dal XVI al XIX secolo si moltiplicarono gli scavi, anche da parte dei proprietari dei terreni che insistevano sull'area della villa, come il conte Fede o i Gesuiti ai quali apparteneva l'area del Pecile, e le oltre 300 opere maggiori ritrovate (ritratti, statue, erme, rilievi, sculture, mosaici) furono disperse per le collezioni private ed i musei di mezza Europa.

Nel 1870 lo Stato acquistò il comprensorio dalla famiglia Braschi che era in quel periodo la maggiore proprietaria dei terreni (altre parti, tuttavia, rimasero – e sono ancora – in mano a privati). Furono intrapresi scavi e restauri, che riportarono alla luce la stupefacente architettura degli edifici e talvolta anche stucchi e mosaici superstiti. Le ricerche continuano, ma l'esplorazione del sito è lungi dall'essere completata.

Villa Adriana è stata dichiarata nel 1999 patrimonio dell'umanità, con questa motivazione:

« Villa Adriana è un capolavoro che riunisce in maniera unica le forme più alte di espressione delle culture materiali dell'antico mondo mediterraneo. Lo studio dei monumenti che compongono la Villa Adriana ha svolto un ruolo decisivo nella scoperta degli elementi dell'architettura classica da parte degli architetti del Rinascimento e del Barocco. Essa ha, inoltre, profondamente influenzato un gran numero di architetti e disegnatori del XIX e del XX secolo. »
Questo riconoscimento è stato tuttavia messo in discussione dallo stesso World Heritage Committee dell'UNESCO, a causa di autorizzazioni edilizie rilasciate dal Comune di Tivoli nel 2011. Nel 2013 si è tenuta la 36ª riunione annuale del World Heritage Committee dell'UNESCO che si occupa dei siti considerati patrimonio dell'umanità, in cui è stata fatta richiesta all'Italia di informare il comitato di qualsiasi progetto di sviluppo nell'area buffer (zona cuscinetto stabilita con un accordo internazionale tra la Repubblica italiana e l'UNESCO per proteggere l'area archeologica). Il comitato potrebbe proporre la revoca dello status di patrimonio dell'umanità in seguito alla costruzione di alcuni edifici nell'area buffer come approvato in una delibera del 2011 del comune di Tivoli.

Tivoli: Villa Adriana. by vincenzovacca

© vincenzovacca, all rights reserved.

Tivoli: Villa Adriana.

Villa Adriana fu una residenza imperiale extraurbana a partire dal II secolo. Voluta dall'imperatore Adriano (76-138), si trova presso Tivoli (l'antica Tibur), oggi in città metropolitana di Roma Capitale. Realizzata gradualmente nella prima metà del II secolo a pochi chilometri dall'antica Tibur, la struttura appare un ricco complesso di edifici estesi su una vasta area, che doveva coprire circa 120 ha, in una zona ricca di fonti d'acqua a 17 miglia romane dall'Urbs[1]. Nel 1999 Villa Adriana è stata dichiarata Patrimonio dell'umanità dall'UNESCO.
Nel 2014 è stato il ventiseiesimo sito statale italiano più visitato, con 232 147 visitatori e un introito lordo totale di 546 598 EuroSi trova sui Monti Tiburtini, a circa 28 km (17 miglia romane) da Roma, dalla quale era raggiungibile sia per mezzo della via Tiburtina Valeria o della via Prenestina, sia tramite la navigazione sul fiume Aniene. La Villa si trovava sulla destra della via Tiburtina, poco oltre il ponte Lucano, prolungandosi fin quasi alle pendici del monte Ripoli su cui sorge Tivoli.

L'area prescelta si estendeva tra le valli dei fossi di Risicoli o di Roccabruna ad ovest e dell'Acqua Ferrata ad est, che, riunitisi, si gettano poi nell'Aniene; era una zona ricca di acque e vi passavano quattro degli antichi acquedotti romani che servivano Roma (Anio Vetus, Anio Novus, Aqua Marcia e Aqua Claudia). Nei pressi esiste tuttora la sorgente di acqua sulfurea delle Acque Albule (Bagni di Tivoli), che era conosciuta ed apprezzata dall'imperatore. Nei dintorni inoltre erano presenti numerose cave di materiali da costruzione (travertino, tufo e calcare per la realizzazione della calce).« Fece costruire con eccezionale sfarzo una villa a Tivoli dove erano riprodotti con i loro nomi i luoghi più celebri delle province dell'impero, come il Liceo, l'Accademia, il Pritaneo, la città di Canopo, il Pecile e la valle di Tempe; e per non tralasciare proprio nulla, vi aveva fatto raffigurare anche gli inferi. »
(Historia Augusta, Vita Hadriani, XXVI, 5)
Tra le molte ville rustiche che fin dall'età repubblicana erano sorte fra Roma e Tivoli, ne esisteva già una costruita nel periodo sillano, ingrandita all'epoca di Giulio Cesare, pervenuta forse in proprietà della moglie di Adriano, Vibia Sabina, che proveniva da una famiglia di antica nobiltà italica[3]. Fu questo il primo nucleo della villa, incorporato poi nel Palazzo imperiale.

Lo studio del sistema di canalizzazione e delle fognature sembra indicare che la progettazione del complesso sia stata unitaria, anche se dai bolli laterizi ritrovati in circa metà degli edifici emergono tre fasi di costruzione particolarmente attive tra il 118 e il 121, il 125 e il 128 e il 134-138 (consentendo di abbracciare un intervallo presumibile di costruzione tra il 118 e il 138). Di ritorno a Roma nei primi mesi del 134, Adriano poté godere della villa solamente gli ultimi anni della sua esistenza, fino alla morte avvenuta a Baia il 10 luglio 138.[4]

La complessità della residenza, più che alle numerose sfaccettature della personalità di Adriano, fu dovuta alla necessità di soddisfare esigenze e funzioni diverse (residenziali, di rappresentanza, di servizio), oltre che all'andamento frastagliato del terreno; la magnificenza e l'articolazione delle costruzioni rispecchiano le idee innovative dell'imperatore in campo architettonico. Si afferma comunemente che egli volle riprodurre nella sua villa i luoghi e i monumenti che più lo avevano colpito durante i suoi viaggi nelle province dell'impero, sulla base di un passo del suo biografo tardo-antico Elio Sparziano.[5] In realtà gli edifici della villa presentano tutti i caratteri più innovativi dell'architettura romana del tempo, per cui le riproduzioni adrianee di monumenti della Grecia o dell'Egitto vanno intese più come suggestioni evocative che come ricostruzioni reali.

Ciò lo portò ad avere una visione del ruolo di imperatore più assolutistica. Proprio per questo, per separarsi dal popolo e dai sudditi (così come lui lo intendeva) decise di erigere questa imponente costruzione, che a tutt'oggi resta un patrimonio storico molto importante e una testimonianza della grande capacità dei Romani nella costruzione degli edifici. La villa fu realizzata in tre fasi successive dal 121 al 137 d.C. Si tratta di una vera e propria città, estesa su di un'area di circa 300 ha, nella quale il grandioso complesso si presenta diviso in quattro nuclei diversamente caratterizzati.

Gli scavi[modifica | modifica wikitesto]

Modellino ricostruttivo della villa di Adriano
L'area che oggi riconosciamo come pertinente alla villa occupa di certo circa 120 ha: si tratta di una estensione di terreno vastissima per un complesso privato, sia pure di proprietà imperiale[6]. Non è tuttavia certo che la perimetrazione attuale comprenda l'intera superficie del comprensorio adrianeo.

Dopo la morte di Adriano la villa continuò ad essere utilizzata, come mostrano i bolli laterizi pertinenti a restauri del III secolo, ma in seguito fu progressivamente abbandonata e durante il medioevo ridotta a terreno agricolo, salvo essere utilizzata come cava di materiali edili di pregio (marmi, mosaici, decorazioni) per le case di Tivoli, e come riserva di pietra da cui estrarre calce.

Il primo a rinominarla, dopo secoli, fu l'umanista Flavio Biondo nel 1450, e una decina di anni dopo essa venne visitata e citata anche da papa Pio II Piccolomini. Si animò così – dalla fine del secolo – l'interesse di umanisti, mecenati, papi, cardinali e nobili per la villa. Interesse che fu, innegabilmente, soprattutto predatorio: alla ricerca di statue e marmi furono fatti eseguire scavi da papa Alessandro VI Borgia, poi dal cardinale Alessandro Farnese, poi dal cardinale Ippolito II d'Este, per il quale Pirro Ligorio prelevò grandi quantità di materiali destinati sia alla villa di Tivoli che a quella di Roma[7].

Al Ligorio si deve la prima rilevazione topografica della villa, datata attorno al 1560 e attualmente nella biblioteca di Windsor. La villa riscoperta fu frequentata – sia per conto dei ricchi committenti che per propria ispirazione e passione, anche da architetti come Antonio da Sangallo il Vecchio e Francesco Borromini, e artisti come Piranesi[8]. Dal XVI al XIX secolo si moltiplicarono gli scavi, anche da parte dei proprietari dei terreni che insistevano sull'area della villa, come il conte Fede o i Gesuiti ai quali apparteneva l'area del Pecile, e le oltre 300 opere maggiori ritrovate (ritratti, statue, erme, rilievi, sculture, mosaici) furono disperse per le collezioni private ed i musei di mezza Europa.

Nel 1870 lo Stato acquistò il comprensorio dalla famiglia Braschi che era in quel periodo la maggiore proprietaria dei terreni (altre parti, tuttavia, rimasero – e sono ancora – in mano a privati). Furono intrapresi scavi e restauri, che riportarono alla luce la stupefacente architettura degli edifici e talvolta anche stucchi e mosaici superstiti. Le ricerche continuano, ma l'esplorazione del sito è lungi dall'essere completata.

Villa Adriana è stata dichiarata nel 1999 patrimonio dell'umanità, con questa motivazione:

« Villa Adriana è un capolavoro che riunisce in maniera unica le forme più alte di espressione delle culture materiali dell'antico mondo mediterraneo. Lo studio dei monumenti che compongono la Villa Adriana ha svolto un ruolo decisivo nella scoperta degli elementi dell'architettura classica da parte degli architetti del Rinascimento e del Barocco. Essa ha, inoltre, profondamente influenzato un gran numero di architetti e disegnatori del XIX e del XX secolo. »
Questo riconoscimento è stato tuttavia messo in discussione dallo stesso World Heritage Committee dell'UNESCO, a causa di autorizzazioni edilizie rilasciate dal Comune di Tivoli nel 2011. Nel 2013 si è tenuta la 36ª riunione annuale del World Heritage Committee dell'UNESCO che si occupa dei siti considerati patrimonio dell'umanità, in cui è stata fatta richiesta all'Italia di informare il comitato di qualsiasi progetto di sviluppo nell'area buffer (zona cuscinetto stabilita con un accordo internazionale tra la Repubblica italiana e l'UNESCO per proteggere l'area archeologica). Il comitato potrebbe proporre la revoca dello status di patrimonio dell'umanità in seguito alla costruzione di alcuni edifici nell'area buffer come approvato in una delibera del 2011 del comune di Tivoli.

Tivoli: Villa Adriana. by vincenzovacca

© vincenzovacca, all rights reserved.

Tivoli: Villa Adriana.

Villa Adriana fu una residenza imperiale extraurbana a partire dal II secolo. Voluta dall'imperatore Adriano (76-138), si trova presso Tivoli (l'antica Tibur), oggi in città metropolitana di Roma Capitale. Realizzata gradualmente nella prima metà del II secolo a pochi chilometri dall'antica Tibur, la struttura appare un ricco complesso di edifici estesi su una vasta area, che doveva coprire circa 120 ha, in una zona ricca di fonti d'acqua a 17 miglia romane dall'Urbs[1]. Nel 1999 Villa Adriana è stata dichiarata Patrimonio dell'umanità dall'UNESCO.
Nel 2014 è stato il ventiseiesimo sito statale italiano più visitato, con 232 147 visitatori e un introito lordo totale di 546 598 EuroSi trova sui Monti Tiburtini, a circa 28 km (17 miglia romane) da Roma, dalla quale era raggiungibile sia per mezzo della via Tiburtina Valeria o della via Prenestina, sia tramite la navigazione sul fiume Aniene. La Villa si trovava sulla destra della via Tiburtina, poco oltre il ponte Lucano, prolungandosi fin quasi alle pendici del monte Ripoli su cui sorge Tivoli.

L'area prescelta si estendeva tra le valli dei fossi di Risicoli o di Roccabruna ad ovest e dell'Acqua Ferrata ad est, che, riunitisi, si gettano poi nell'Aniene; era una zona ricca di acque e vi passavano quattro degli antichi acquedotti romani che servivano Roma (Anio Vetus, Anio Novus, Aqua Marcia e Aqua Claudia). Nei pressi esiste tuttora la sorgente di acqua sulfurea delle Acque Albule (Bagni di Tivoli), che era conosciuta ed apprezzata dall'imperatore. Nei dintorni inoltre erano presenti numerose cave di materiali da costruzione (travertino, tufo e calcare per la realizzazione della calce).« Fece costruire con eccezionale sfarzo una villa a Tivoli dove erano riprodotti con i loro nomi i luoghi più celebri delle province dell'impero, come il Liceo, l'Accademia, il Pritaneo, la città di Canopo, il Pecile e la valle di Tempe; e per non tralasciare proprio nulla, vi aveva fatto raffigurare anche gli inferi. »
(Historia Augusta, Vita Hadriani, XXVI, 5)
Tra le molte ville rustiche che fin dall'età repubblicana erano sorte fra Roma e Tivoli, ne esisteva già una costruita nel periodo sillano, ingrandita all'epoca di Giulio Cesare, pervenuta forse in proprietà della moglie di Adriano, Vibia Sabina, che proveniva da una famiglia di antica nobiltà italica[3]. Fu questo il primo nucleo della villa, incorporato poi nel Palazzo imperiale.

Lo studio del sistema di canalizzazione e delle fognature sembra indicare che la progettazione del complesso sia stata unitaria, anche se dai bolli laterizi ritrovati in circa metà degli edifici emergono tre fasi di costruzione particolarmente attive tra il 118 e il 121, il 125 e il 128 e il 134-138 (consentendo di abbracciare un intervallo presumibile di costruzione tra il 118 e il 138). Di ritorno a Roma nei primi mesi del 134, Adriano poté godere della villa solamente gli ultimi anni della sua esistenza, fino alla morte avvenuta a Baia il 10 luglio 138.[4]

La complessità della residenza, più che alle numerose sfaccettature della personalità di Adriano, fu dovuta alla necessità di soddisfare esigenze e funzioni diverse (residenziali, di rappresentanza, di servizio), oltre che all'andamento frastagliato del terreno; la magnificenza e l'articolazione delle costruzioni rispecchiano le idee innovative dell'imperatore in campo architettonico. Si afferma comunemente che egli volle riprodurre nella sua villa i luoghi e i monumenti che più lo avevano colpito durante i suoi viaggi nelle province dell'impero, sulla base di un passo del suo biografo tardo-antico Elio Sparziano.[5] In realtà gli edifici della villa presentano tutti i caratteri più innovativi dell'architettura romana del tempo, per cui le riproduzioni adrianee di monumenti della Grecia o dell'Egitto vanno intese più come suggestioni evocative che come ricostruzioni reali.

Ciò lo portò ad avere una visione del ruolo di imperatore più assolutistica. Proprio per questo, per separarsi dal popolo e dai sudditi (così come lui lo intendeva) decise di erigere questa imponente costruzione, che a tutt'oggi resta un patrimonio storico molto importante e una testimonianza della grande capacità dei Romani nella costruzione degli edifici. La villa fu realizzata in tre fasi successive dal 121 al 137 d.C. Si tratta di una vera e propria città, estesa su di un'area di circa 300 ha, nella quale il grandioso complesso si presenta diviso in quattro nuclei diversamente caratterizzati.

Gli scavi[modifica | modifica wikitesto]

Modellino ricostruttivo della villa di Adriano
L'area che oggi riconosciamo come pertinente alla villa occupa di certo circa 120 ha: si tratta di una estensione di terreno vastissima per un complesso privato, sia pure di proprietà imperiale[6]. Non è tuttavia certo che la perimetrazione attuale comprenda l'intera superficie del comprensorio adrianeo.

Dopo la morte di Adriano la villa continuò ad essere utilizzata, come mostrano i bolli laterizi pertinenti a restauri del III secolo, ma in seguito fu progressivamente abbandonata e durante il medioevo ridotta a terreno agricolo, salvo essere utilizzata come cava di materiali edili di pregio (marmi, mosaici, decorazioni) per le case di Tivoli, e come riserva di pietra da cui estrarre calce.

Il primo a rinominarla, dopo secoli, fu l'umanista Flavio Biondo nel 1450, e una decina di anni dopo essa venne visitata e citata anche da papa Pio II Piccolomini. Si animò così – dalla fine del secolo – l'interesse di umanisti, mecenati, papi, cardinali e nobili per la villa. Interesse che fu, innegabilmente, soprattutto predatorio: alla ricerca di statue e marmi furono fatti eseguire scavi da papa Alessandro VI Borgia, poi dal cardinale Alessandro Farnese, poi dal cardinale Ippolito II d'Este, per il quale Pirro Ligorio prelevò grandi quantità di materiali destinati sia alla villa di Tivoli che a quella di Roma[7].

Al Ligorio si deve la prima rilevazione topografica della villa, datata attorno al 1560 e attualmente nella biblioteca di Windsor. La villa riscoperta fu frequentata – sia per conto dei ricchi committenti che per propria ispirazione e passione, anche da architetti come Antonio da Sangallo il Vecchio e Francesco Borromini, e artisti come Piranesi[8]. Dal XVI al XIX secolo si moltiplicarono gli scavi, anche da parte dei proprietari dei terreni che insistevano sull'area della villa, come il conte Fede o i Gesuiti ai quali apparteneva l'area del Pecile, e le oltre 300 opere maggiori ritrovate (ritratti, statue, erme, rilievi, sculture, mosaici) furono disperse per le collezioni private ed i musei di mezza Europa.

Nel 1870 lo Stato acquistò il comprensorio dalla famiglia Braschi che era in quel periodo la maggiore proprietaria dei terreni (altre parti, tuttavia, rimasero – e sono ancora – in mano a privati). Furono intrapresi scavi e restauri, che riportarono alla luce la stupefacente architettura degli edifici e talvolta anche stucchi e mosaici superstiti. Le ricerche continuano, ma l'esplorazione del sito è lungi dall'essere completata.

Villa Adriana è stata dichiarata nel 1999 patrimonio dell'umanità, con questa motivazione:

« Villa Adriana è un capolavoro che riunisce in maniera unica le forme più alte di espressione delle culture materiali dell'antico mondo mediterraneo. Lo studio dei monumenti che compongono la Villa Adriana ha svolto un ruolo decisivo nella scoperta degli elementi dell'architettura classica da parte degli architetti del Rinascimento e del Barocco. Essa ha, inoltre, profondamente influenzato un gran numero di architetti e disegnatori del XIX e del XX secolo. »
Questo riconoscimento è stato tuttavia messo in discussione dallo stesso World Heritage Committee dell'UNESCO, a causa di autorizzazioni edilizie rilasciate dal Comune di Tivoli nel 2011. Nel 2013 si è tenuta la 36ª riunione annuale del World Heritage Committee dell'UNESCO che si occupa dei siti considerati patrimonio dell'umanità, in cui è stata fatta richiesta all'Italia di informare il comitato di qualsiasi progetto di sviluppo nell'area buffer (zona cuscinetto stabilita con un accordo internazionale tra la Repubblica italiana e l'UNESCO per proteggere l'area archeologica). Il comitato potrebbe proporre la revoca dello status di patrimonio dell'umanità in seguito alla costruzione di alcuni edifici nell'area buffer come approvato in una delibera del 2011 del comune di Tivoli.

Tivoli: Villa Adriana. by vincenzovacca

© vincenzovacca, all rights reserved.

Tivoli: Villa Adriana.

Villa Adriana fu una residenza imperiale extraurbana a partire dal II secolo. Voluta dall'imperatore Adriano (76-138), si trova presso Tivoli (l'antica Tibur), oggi in città metropolitana di Roma Capitale. Realizzata gradualmente nella prima metà del II secolo a pochi chilometri dall'antica Tibur, la struttura appare un ricco complesso di edifici estesi su una vasta area, che doveva coprire circa 120 ha, in una zona ricca di fonti d'acqua a 17 miglia romane dall'Urbs[1]. Nel 1999 Villa Adriana è stata dichiarata Patrimonio dell'umanità dall'UNESCO.
Nel 2014 è stato il ventiseiesimo sito statale italiano più visitato, con 232 147 visitatori e un introito lordo totale di 546 598 EuroSi trova sui Monti Tiburtini, a circa 28 km (17 miglia romane) da Roma, dalla quale era raggiungibile sia per mezzo della via Tiburtina Valeria o della via Prenestina, sia tramite la navigazione sul fiume Aniene. La Villa si trovava sulla destra della via Tiburtina, poco oltre il ponte Lucano, prolungandosi fin quasi alle pendici del monte Ripoli su cui sorge Tivoli.

L'area prescelta si estendeva tra le valli dei fossi di Risicoli o di Roccabruna ad ovest e dell'Acqua Ferrata ad est, che, riunitisi, si gettano poi nell'Aniene; era una zona ricca di acque e vi passavano quattro degli antichi acquedotti romani che servivano Roma (Anio Vetus, Anio Novus, Aqua Marcia e Aqua Claudia). Nei pressi esiste tuttora la sorgente di acqua sulfurea delle Acque Albule (Bagni di Tivoli), che era conosciuta ed apprezzata dall'imperatore. Nei dintorni inoltre erano presenti numerose cave di materiali da costruzione (travertino, tufo e calcare per la realizzazione della calce).« Fece costruire con eccezionale sfarzo una villa a Tivoli dove erano riprodotti con i loro nomi i luoghi più celebri delle province dell'impero, come il Liceo, l'Accademia, il Pritaneo, la città di Canopo, il Pecile e la valle di Tempe; e per non tralasciare proprio nulla, vi aveva fatto raffigurare anche gli inferi. »
(Historia Augusta, Vita Hadriani, XXVI, 5)
Tra le molte ville rustiche che fin dall'età repubblicana erano sorte fra Roma e Tivoli, ne esisteva già una costruita nel periodo sillano, ingrandita all'epoca di Giulio Cesare, pervenuta forse in proprietà della moglie di Adriano, Vibia Sabina, che proveniva da una famiglia di antica nobiltà italica[3]. Fu questo il primo nucleo della villa, incorporato poi nel Palazzo imperiale.

Lo studio del sistema di canalizzazione e delle fognature sembra indicare che la progettazione del complesso sia stata unitaria, anche se dai bolli laterizi ritrovati in circa metà degli edifici emergono tre fasi di costruzione particolarmente attive tra il 118 e il 121, il 125 e il 128 e il 134-138 (consentendo di abbracciare un intervallo presumibile di costruzione tra il 118 e il 138). Di ritorno a Roma nei primi mesi del 134, Adriano poté godere della villa solamente gli ultimi anni della sua esistenza, fino alla morte avvenuta a Baia il 10 luglio 138.[4]

La complessità della residenza, più che alle numerose sfaccettature della personalità di Adriano, fu dovuta alla necessità di soddisfare esigenze e funzioni diverse (residenziali, di rappresentanza, di servizio), oltre che all'andamento frastagliato del terreno; la magnificenza e l'articolazione delle costruzioni rispecchiano le idee innovative dell'imperatore in campo architettonico. Si afferma comunemente che egli volle riprodurre nella sua villa i luoghi e i monumenti che più lo avevano colpito durante i suoi viaggi nelle province dell'impero, sulla base di un passo del suo biografo tardo-antico Elio Sparziano.[5] In realtà gli edifici della villa presentano tutti i caratteri più innovativi dell'architettura romana del tempo, per cui le riproduzioni adrianee di monumenti della Grecia o dell'Egitto vanno intese più come suggestioni evocative che come ricostruzioni reali.

Ciò lo portò ad avere una visione del ruolo di imperatore più assolutistica. Proprio per questo, per separarsi dal popolo e dai sudditi (così come lui lo intendeva) decise di erigere questa imponente costruzione, che a tutt'oggi resta un patrimonio storico molto importante e una testimonianza della grande capacità dei Romani nella costruzione degli edifici. La villa fu realizzata in tre fasi successive dal 121 al 137 d.C. Si tratta di una vera e propria città, estesa su di un'area di circa 300 ha, nella quale il grandioso complesso si presenta diviso in quattro nuclei diversamente caratterizzati.

Gli scavi[modifica | modifica wikitesto]

Modellino ricostruttivo della villa di Adriano
L'area che oggi riconosciamo come pertinente alla villa occupa di certo circa 120 ha: si tratta di una estensione di terreno vastissima per un complesso privato, sia pure di proprietà imperiale[6]. Non è tuttavia certo che la perimetrazione attuale comprenda l'intera superficie del comprensorio adrianeo.

Dopo la morte di Adriano la villa continuò ad essere utilizzata, come mostrano i bolli laterizi pertinenti a restauri del III secolo, ma in seguito fu progressivamente abbandonata e durante il medioevo ridotta a terreno agricolo, salvo essere utilizzata come cava di materiali edili di pregio (marmi, mosaici, decorazioni) per le case di Tivoli, e come riserva di pietra da cui estrarre calce.

Il primo a rinominarla, dopo secoli, fu l'umanista Flavio Biondo nel 1450, e una decina di anni dopo essa venne visitata e citata anche da papa Pio II Piccolomini. Si animò così – dalla fine del secolo – l'interesse di umanisti, mecenati, papi, cardinali e nobili per la villa. Interesse che fu, innegabilmente, soprattutto predatorio: alla ricerca di statue e marmi furono fatti eseguire scavi da papa Alessandro VI Borgia, poi dal cardinale Alessandro Farnese, poi dal cardinale Ippolito II d'Este, per il quale Pirro Ligorio prelevò grandi quantità di materiali destinati sia alla villa di Tivoli che a quella di Roma[7].

Al Ligorio si deve la prima rilevazione topografica della villa, datata attorno al 1560 e attualmente nella biblioteca di Windsor. La villa riscoperta fu frequentata – sia per conto dei ricchi committenti che per propria ispirazione e passione, anche da architetti come Antonio da Sangallo il Vecchio e Francesco Borromini, e artisti come Piranesi[8]. Dal XVI al XIX secolo si moltiplicarono gli scavi, anche da parte dei proprietari dei terreni che insistevano sull'area della villa, come il conte Fede o i Gesuiti ai quali apparteneva l'area del Pecile, e le oltre 300 opere maggiori ritrovate (ritratti, statue, erme, rilievi, sculture, mosaici) furono disperse per le collezioni private ed i musei di mezza Europa.

Nel 1870 lo Stato acquistò il comprensorio dalla famiglia Braschi che era in quel periodo la maggiore proprietaria dei terreni (altre parti, tuttavia, rimasero – e sono ancora – in mano a privati). Furono intrapresi scavi e restauri, che riportarono alla luce la stupefacente architettura degli edifici e talvolta anche stucchi e mosaici superstiti. Le ricerche continuano, ma l'esplorazione del sito è lungi dall'essere completata.

Villa Adriana è stata dichiarata nel 1999 patrimonio dell'umanità, con questa motivazione:

« Villa Adriana è un capolavoro che riunisce in maniera unica le forme più alte di espressione delle culture materiali dell'antico mondo mediterraneo. Lo studio dei monumenti che compongono la Villa Adriana ha svolto un ruolo decisivo nella scoperta degli elementi dell'architettura classica da parte degli architetti del Rinascimento e del Barocco. Essa ha, inoltre, profondamente influenzato un gran numero di architetti e disegnatori del XIX e del XX secolo. »
Questo riconoscimento è stato tuttavia messo in discussione dallo stesso World Heritage Committee dell'UNESCO, a causa di autorizzazioni edilizie rilasciate dal Comune di Tivoli nel 2011. Nel 2013 si è tenuta la 36ª riunione annuale del World Heritage Committee dell'UNESCO che si occupa dei siti considerati patrimonio dell'umanità, in cui è stata fatta richiesta all'Italia di informare il comitato di qualsiasi progetto di sviluppo nell'area buffer (zona cuscinetto stabilita con un accordo internazionale tra la Repubblica italiana e l'UNESCO per proteggere l'area archeologica). Il comitato potrebbe proporre la revoca dello status di patrimonio dell'umanità in seguito alla costruzione di alcuni edifici nell'area buffer come approvato in una delibera del 2011 del comune di Tivoli.

Tivoli: Villa Adriana. by vincenzovacca

© vincenzovacca, all rights reserved.

Tivoli: Villa Adriana.

Villa Adriana fu una residenza imperiale extraurbana a partire dal II secolo. Voluta dall'imperatore Adriano (76-138), si trova presso Tivoli (l'antica Tibur), oggi in città metropolitana di Roma Capitale. Realizzata gradualmente nella prima metà del II secolo a pochi chilometri dall'antica Tibur, la struttura appare un ricco complesso di edifici estesi su una vasta area, che doveva coprire circa 120 ha, in una zona ricca di fonti d'acqua a 17 miglia romane dall'Urbs[1]. Nel 1999 Villa Adriana è stata dichiarata Patrimonio dell'umanità dall'UNESCO.
Nel 2014 è stato il ventiseiesimo sito statale italiano più visitato, con 232 147 visitatori e un introito lordo totale di 546 598 EuroSi trova sui Monti Tiburtini, a circa 28 km (17 miglia romane) da Roma, dalla quale era raggiungibile sia per mezzo della via Tiburtina Valeria o della via Prenestina, sia tramite la navigazione sul fiume Aniene. La Villa si trovava sulla destra della via Tiburtina, poco oltre il ponte Lucano, prolungandosi fin quasi alle pendici del monte Ripoli su cui sorge Tivoli.

L'area prescelta si estendeva tra le valli dei fossi di Risicoli o di Roccabruna ad ovest e dell'Acqua Ferrata ad est, che, riunitisi, si gettano poi nell'Aniene; era una zona ricca di acque e vi passavano quattro degli antichi acquedotti romani che servivano Roma (Anio Vetus, Anio Novus, Aqua Marcia e Aqua Claudia). Nei pressi esiste tuttora la sorgente di acqua sulfurea delle Acque Albule (Bagni di Tivoli), che era conosciuta ed apprezzata dall'imperatore. Nei dintorni inoltre erano presenti numerose cave di materiali da costruzione (travertino, tufo e calcare per la realizzazione della calce).« Fece costruire con eccezionale sfarzo una villa a Tivoli dove erano riprodotti con i loro nomi i luoghi più celebri delle province dell'impero, come il Liceo, l'Accademia, il Pritaneo, la città di Canopo, il Pecile e la valle di Tempe; e per non tralasciare proprio nulla, vi aveva fatto raffigurare anche gli inferi. »
(Historia Augusta, Vita Hadriani, XXVI, 5)
Tra le molte ville rustiche che fin dall'età repubblicana erano sorte fra Roma e Tivoli, ne esisteva già una costruita nel periodo sillano, ingrandita all'epoca di Giulio Cesare, pervenuta forse in proprietà della moglie di Adriano, Vibia Sabina, che proveniva da una famiglia di antica nobiltà italica[3]. Fu questo il primo nucleo della villa, incorporato poi nel Palazzo imperiale.

Lo studio del sistema di canalizzazione e delle fognature sembra indicare che la progettazione del complesso sia stata unitaria, anche se dai bolli laterizi ritrovati in circa metà degli edifici emergono tre fasi di costruzione particolarmente attive tra il 118 e il 121, il 125 e il 128 e il 134-138 (consentendo di abbracciare un intervallo presumibile di costruzione tra il 118 e il 138). Di ritorno a Roma nei primi mesi del 134, Adriano poté godere della villa solamente gli ultimi anni della sua esistenza, fino alla morte avvenuta a Baia il 10 luglio 138.[4]

La complessità della residenza, più che alle numerose sfaccettature della personalità di Adriano, fu dovuta alla necessità di soddisfare esigenze e funzioni diverse (residenziali, di rappresentanza, di servizio), oltre che all'andamento frastagliato del terreno; la magnificenza e l'articolazione delle costruzioni rispecchiano le idee innovative dell'imperatore in campo architettonico. Si afferma comunemente che egli volle riprodurre nella sua villa i luoghi e i monumenti che più lo avevano colpito durante i suoi viaggi nelle province dell'impero, sulla base di un passo del suo biografo tardo-antico Elio Sparziano.[5] In realtà gli edifici della villa presentano tutti i caratteri più innovativi dell'architettura romana del tempo, per cui le riproduzioni adrianee di monumenti della Grecia o dell'Egitto vanno intese più come suggestioni evocative che come ricostruzioni reali.

Ciò lo portò ad avere una visione del ruolo di imperatore più assolutistica. Proprio per questo, per separarsi dal popolo e dai sudditi (così come lui lo intendeva) decise di erigere questa imponente costruzione, che a tutt'oggi resta un patrimonio storico molto importante e una testimonianza della grande capacità dei Romani nella costruzione degli edifici. La villa fu realizzata in tre fasi successive dal 121 al 137 d.C. Si tratta di una vera e propria città, estesa su di un'area di circa 300 ha, nella quale il grandioso complesso si presenta diviso in quattro nuclei diversamente caratterizzati.

Gli scavi[modifica | modifica wikitesto]

Modellino ricostruttivo della villa di Adriano
L'area che oggi riconosciamo come pertinente alla villa occupa di certo circa 120 ha: si tratta di una estensione di terreno vastissima per un complesso privato, sia pure di proprietà imperiale[6]. Non è tuttavia certo che la perimetrazione attuale comprenda l'intera superficie del comprensorio adrianeo.

Dopo la morte di Adriano la villa continuò ad essere utilizzata, come mostrano i bolli laterizi pertinenti a restauri del III secolo, ma in seguito fu progressivamente abbandonata e durante il medioevo ridotta a terreno agricolo, salvo essere utilizzata come cava di materiali edili di pregio (marmi, mosaici, decorazioni) per le case di Tivoli, e come riserva di pietra da cui estrarre calce.

Il primo a rinominarla, dopo secoli, fu l'umanista Flavio Biondo nel 1450, e una decina di anni dopo essa venne visitata e citata anche da papa Pio II Piccolomini. Si animò così – dalla fine del secolo – l'interesse di umanisti, mecenati, papi, cardinali e nobili per la villa. Interesse che fu, innegabilmente, soprattutto predatorio: alla ricerca di statue e marmi furono fatti eseguire scavi da papa Alessandro VI Borgia, poi dal cardinale Alessandro Farnese, poi dal cardinale Ippolito II d'Este, per il quale Pirro Ligorio prelevò grandi quantità di materiali destinati sia alla villa di Tivoli che a quella di Roma[7].

Al Ligorio si deve la prima rilevazione topografica della villa, datata attorno al 1560 e attualmente nella biblioteca di Windsor. La villa riscoperta fu frequentata – sia per conto dei ricchi committenti che per propria ispirazione e passione, anche da architetti come Antonio da Sangallo il Vecchio e Francesco Borromini, e artisti come Piranesi[8]. Dal XVI al XIX secolo si moltiplicarono gli scavi, anche da parte dei proprietari dei terreni che insistevano sull'area della villa, come il conte Fede o i Gesuiti ai quali apparteneva l'area del Pecile, e le oltre 300 opere maggiori ritrovate (ritratti, statue, erme, rilievi, sculture, mosaici) furono disperse per le collezioni private ed i musei di mezza Europa.

Nel 1870 lo Stato acquistò il comprensorio dalla famiglia Braschi che era in quel periodo la maggiore proprietaria dei terreni (altre parti, tuttavia, rimasero – e sono ancora – in mano a privati). Furono intrapresi scavi e restauri, che riportarono alla luce la stupefacente architettura degli edifici e talvolta anche stucchi e mosaici superstiti. Le ricerche continuano, ma l'esplorazione del sito è lungi dall'essere completata.

Villa Adriana è stata dichiarata nel 1999 patrimonio dell'umanità, con questa motivazione:

« Villa Adriana è un capolavoro che riunisce in maniera unica le forme più alte di espressione delle culture materiali dell'antico mondo mediterraneo. Lo studio dei monumenti che compongono la Villa Adriana ha svolto un ruolo decisivo nella scoperta degli elementi dell'architettura classica da parte degli architetti del Rinascimento e del Barocco. Essa ha, inoltre, profondamente influenzato un gran numero di architetti e disegnatori del XIX e del XX secolo. »
Questo riconoscimento è stato tuttavia messo in discussione dallo stesso World Heritage Committee dell'UNESCO, a causa di autorizzazioni edilizie rilasciate dal Comune di Tivoli nel 2011. Nel 2013 si è tenuta la 36ª riunione annuale del World Heritage Committee dell'UNESCO che si occupa dei siti considerati patrimonio dell'umanità, in cui è stata fatta richiesta all'Italia di informare il comitato di qualsiasi progetto di sviluppo nell'area buffer (zona cuscinetto stabilita con un accordo internazionale tra la Repubblica italiana e l'UNESCO per proteggere l'area archeologica). Il comitato potrebbe proporre la revoca dello status di patrimonio dell'umanità in seguito alla costruzione di alcuni edifici nell'area buffer come approvato in una delibera del 2011 del comune di Tivoli.

Tivoli: Villa Adriana. by vincenzovacca

© vincenzovacca, all rights reserved.

Tivoli: Villa Adriana.

Villa Adriana fu una residenza imperiale extraurbana a partire dal II secolo. Voluta dall'imperatore Adriano (76-138), si trova presso Tivoli (l'antica Tibur), oggi in città metropolitana di Roma Capitale. Realizzata gradualmente nella prima metà del II secolo a pochi chilometri dall'antica Tibur, la struttura appare un ricco complesso di edifici estesi su una vasta area, che doveva coprire circa 120 ha, in una zona ricca di fonti d'acqua a 17 miglia romane dall'Urbs[1]. Nel 1999 Villa Adriana è stata dichiarata Patrimonio dell'umanità dall'UNESCO.
Nel 2014 è stato il ventiseiesimo sito statale italiano più visitato, con 232 147 visitatori e un introito lordo totale di 546 598 EuroSi trova sui Monti Tiburtini, a circa 28 km (17 miglia romane) da Roma, dalla quale era raggiungibile sia per mezzo della via Tiburtina Valeria o della via Prenestina, sia tramite la navigazione sul fiume Aniene. La Villa si trovava sulla destra della via Tiburtina, poco oltre il ponte Lucano, prolungandosi fin quasi alle pendici del monte Ripoli su cui sorge Tivoli.

L'area prescelta si estendeva tra le valli dei fossi di Risicoli o di Roccabruna ad ovest e dell'Acqua Ferrata ad est, che, riunitisi, si gettano poi nell'Aniene; era una zona ricca di acque e vi passavano quattro degli antichi acquedotti romani che servivano Roma (Anio Vetus, Anio Novus, Aqua Marcia e Aqua Claudia). Nei pressi esiste tuttora la sorgente di acqua sulfurea delle Acque Albule (Bagni di Tivoli), che era conosciuta ed apprezzata dall'imperatore. Nei dintorni inoltre erano presenti numerose cave di materiali da costruzione (travertino, tufo e calcare per la realizzazione della calce).« Fece costruire con eccezionale sfarzo una villa a Tivoli dove erano riprodotti con i loro nomi i luoghi più celebri delle province dell'impero, come il Liceo, l'Accademia, il Pritaneo, la città di Canopo, il Pecile e la valle di Tempe; e per non tralasciare proprio nulla, vi aveva fatto raffigurare anche gli inferi. »
(Historia Augusta, Vita Hadriani, XXVI, 5)
Tra le molte ville rustiche che fin dall'età repubblicana erano sorte fra Roma e Tivoli, ne esisteva già una costruita nel periodo sillano, ingrandita all'epoca di Giulio Cesare, pervenuta forse in proprietà della moglie di Adriano, Vibia Sabina, che proveniva da una famiglia di antica nobiltà italica[3]. Fu questo il primo nucleo della villa, incorporato poi nel Palazzo imperiale.

Lo studio del sistema di canalizzazione e delle fognature sembra indicare che la progettazione del complesso sia stata unitaria, anche se dai bolli laterizi ritrovati in circa metà degli edifici emergono tre fasi di costruzione particolarmente attive tra il 118 e il 121, il 125 e il 128 e il 134-138 (consentendo di abbracciare un intervallo presumibile di costruzione tra il 118 e il 138). Di ritorno a Roma nei primi mesi del 134, Adriano poté godere della villa solamente gli ultimi anni della sua esistenza, fino alla morte avvenuta a Baia il 10 luglio 138.[4]

La complessità della residenza, più che alle numerose sfaccettature della personalità di Adriano, fu dovuta alla necessità di soddisfare esigenze e funzioni diverse (residenziali, di rappresentanza, di servizio), oltre che all'andamento frastagliato del terreno; la magnificenza e l'articolazione delle costruzioni rispecchiano le idee innovative dell'imperatore in campo architettonico. Si afferma comunemente che egli volle riprodurre nella sua villa i luoghi e i monumenti che più lo avevano colpito durante i suoi viaggi nelle province dell'impero, sulla base di un passo del suo biografo tardo-antico Elio Sparziano.[5] In realtà gli edifici della villa presentano tutti i caratteri più innovativi dell'architettura romana del tempo, per cui le riproduzioni adrianee di monumenti della Grecia o dell'Egitto vanno intese più come suggestioni evocative che come ricostruzioni reali.

Ciò lo portò ad avere una visione del ruolo di imperatore più assolutistica. Proprio per questo, per separarsi dal popolo e dai sudditi (così come lui lo intendeva) decise di erigere questa imponente costruzione, che a tutt'oggi resta un patrimonio storico molto importante e una testimonianza della grande capacità dei Romani nella costruzione degli edifici. La villa fu realizzata in tre fasi successive dal 121 al 137 d.C. Si tratta di una vera e propria città, estesa su di un'area di circa 300 ha, nella quale il grandioso complesso si presenta diviso in quattro nuclei diversamente caratterizzati.

Gli scavi[modifica | modifica wikitesto]

Modellino ricostruttivo della villa di Adriano
L'area che oggi riconosciamo come pertinente alla villa occupa di certo circa 120 ha: si tratta di una estensione di terreno vastissima per un complesso privato, sia pure di proprietà imperiale[6]. Non è tuttavia certo che la perimetrazione attuale comprenda l'intera superficie del comprensorio adrianeo.

Dopo la morte di Adriano la villa continuò ad essere utilizzata, come mostrano i bolli laterizi pertinenti a restauri del III secolo, ma in seguito fu progressivamente abbandonata e durante il medioevo ridotta a terreno agricolo, salvo essere utilizzata come cava di materiali edili di pregio (marmi, mosaici, decorazioni) per le case di Tivoli, e come riserva di pietra da cui estrarre calce.

Il primo a rinominarla, dopo secoli, fu l'umanista Flavio Biondo nel 1450, e una decina di anni dopo essa venne visitata e citata anche da papa Pio II Piccolomini. Si animò così – dalla fine del secolo – l'interesse di umanisti, mecenati, papi, cardinali e nobili per la villa. Interesse che fu, innegabilmente, soprattutto predatorio: alla ricerca di statue e marmi furono fatti eseguire scavi da papa Alessandro VI Borgia, poi dal cardinale Alessandro Farnese, poi dal cardinale Ippolito II d'Este, per il quale Pirro Ligorio prelevò grandi quantità di materiali destinati sia alla villa di Tivoli che a quella di Roma[7].

Al Ligorio si deve la prima rilevazione topografica della villa, datata attorno al 1560 e attualmente nella biblioteca di Windsor. La villa riscoperta fu frequentata – sia per conto dei ricchi committenti che per propria ispirazione e passione, anche da architetti come Antonio da Sangallo il Vecchio e Francesco Borromini, e artisti come Piranesi[8]. Dal XVI al XIX secolo si moltiplicarono gli scavi, anche da parte dei proprietari dei terreni che insistevano sull'area della villa, come il conte Fede o i Gesuiti ai quali apparteneva l'area del Pecile, e le oltre 300 opere maggiori ritrovate (ritratti, statue, erme, rilievi, sculture, mosaici) furono disperse per le collezioni private ed i musei di mezza Europa.

Nel 1870 lo Stato acquistò il comprensorio dalla famiglia Braschi che era in quel periodo la maggiore proprietaria dei terreni (altre parti, tuttavia, rimasero – e sono ancora – in mano a privati). Furono intrapresi scavi e restauri, che riportarono alla luce la stupefacente architettura degli edifici e talvolta anche stucchi e mosaici superstiti. Le ricerche continuano, ma l'esplorazione del sito è lungi dall'essere completata.

Villa Adriana è stata dichiarata nel 1999 patrimonio dell'umanità, con questa motivazione:

« Villa Adriana è un capolavoro che riunisce in maniera unica le forme più alte di espressione delle culture materiali dell'antico mondo mediterraneo. Lo studio dei monumenti che compongono la Villa Adriana ha svolto un ruolo decisivo nella scoperta degli elementi dell'architettura classica da parte degli architetti del Rinascimento e del Barocco. Essa ha, inoltre, profondamente influenzato un gran numero di architetti e disegnatori del XIX e del XX secolo. »
Questo riconoscimento è stato tuttavia messo in discussione dallo stesso World Heritage Committee dell'UNESCO, a causa di autorizzazioni edilizie rilasciate dal Comune di Tivoli nel 2011. Nel 2013 si è tenuta la 36ª riunione annuale del World Heritage Committee dell'UNESCO che si occupa dei siti considerati patrimonio dell'umanità, in cui è stata fatta richiesta all'Italia di informare il comitato di qualsiasi progetto di sviluppo nell'area buffer (zona cuscinetto stabilita con un accordo internazionale tra la Repubblica italiana e l'UNESCO per proteggere l'area archeologica). Il comitato potrebbe proporre la revoca dello status di patrimonio dell'umanità in seguito alla costruzione di alcuni edifici nell'area buffer come approvato in una delibera del 2011 del comune di Tivoli.

Tivoli: Villa Adriana. by vincenzovacca

© vincenzovacca, all rights reserved.

Tivoli: Villa Adriana.

Villa Adriana fu una residenza imperiale extraurbana a partire dal II secolo. Voluta dall'imperatore Adriano (76-138), si trova presso Tivoli (l'antica Tibur), oggi in città metropolitana di Roma Capitale. Realizzata gradualmente nella prima metà del II secolo a pochi chilometri dall'antica Tibur, la struttura appare un ricco complesso di edifici estesi su una vasta area, che doveva coprire circa 120 ha, in una zona ricca di fonti d'acqua a 17 miglia romane dall'Urbs[1]. Nel 1999 Villa Adriana è stata dichiarata Patrimonio dell'umanità dall'UNESCO.
Nel 2014 è stato il ventiseiesimo sito statale italiano più visitato, con 232 147 visitatori e un introito lordo totale di 546 598 EuroSi trova sui Monti Tiburtini, a circa 28 km (17 miglia romane) da Roma, dalla quale era raggiungibile sia per mezzo della via Tiburtina Valeria o della via Prenestina, sia tramite la navigazione sul fiume Aniene. La Villa si trovava sulla destra della via Tiburtina, poco oltre il ponte Lucano, prolungandosi fin quasi alle pendici del monte Ripoli su cui sorge Tivoli.

L'area prescelta si estendeva tra le valli dei fossi di Risicoli o di Roccabruna ad ovest e dell'Acqua Ferrata ad est, che, riunitisi, si gettano poi nell'Aniene; era una zona ricca di acque e vi passavano quattro degli antichi acquedotti romani che servivano Roma (Anio Vetus, Anio Novus, Aqua Marcia e Aqua Claudia). Nei pressi esiste tuttora la sorgente di acqua sulfurea delle Acque Albule (Bagni di Tivoli), che era conosciuta ed apprezzata dall'imperatore. Nei dintorni inoltre erano presenti numerose cave di materiali da costruzione (travertino, tufo e calcare per la realizzazione della calce).« Fece costruire con eccezionale sfarzo una villa a Tivoli dove erano riprodotti con i loro nomi i luoghi più celebri delle province dell'impero, come il Liceo, l'Accademia, il Pritaneo, la città di Canopo, il Pecile e la valle di Tempe; e per non tralasciare proprio nulla, vi aveva fatto raffigurare anche gli inferi. »
(Historia Augusta, Vita Hadriani, XXVI, 5)
Tra le molte ville rustiche che fin dall'età repubblicana erano sorte fra Roma e Tivoli, ne esisteva già una costruita nel periodo sillano, ingrandita all'epoca di Giulio Cesare, pervenuta forse in proprietà della moglie di Adriano, Vibia Sabina, che proveniva da una famiglia di antica nobiltà italica[3]. Fu questo il primo nucleo della villa, incorporato poi nel Palazzo imperiale.

Lo studio del sistema di canalizzazione e delle fognature sembra indicare che la progettazione del complesso sia stata unitaria, anche se dai bolli laterizi ritrovati in circa metà degli edifici emergono tre fasi di costruzione particolarmente attive tra il 118 e il 121, il 125 e il 128 e il 134-138 (consentendo di abbracciare un intervallo presumibile di costruzione tra il 118 e il 138). Di ritorno a Roma nei primi mesi del 134, Adriano poté godere della villa solamente gli ultimi anni della sua esistenza, fino alla morte avvenuta a Baia il 10 luglio 138.[4]

La complessità della residenza, più che alle numerose sfaccettature della personalità di Adriano, fu dovuta alla necessità di soddisfare esigenze e funzioni diverse (residenziali, di rappresentanza, di servizio), oltre che all'andamento frastagliato del terreno; la magnificenza e l'articolazione delle costruzioni rispecchiano le idee innovative dell'imperatore in campo architettonico. Si afferma comunemente che egli volle riprodurre nella sua villa i luoghi e i monumenti che più lo avevano colpito durante i suoi viaggi nelle province dell'impero, sulla base di un passo del suo biografo tardo-antico Elio Sparziano.[5] In realtà gli edifici della villa presentano tutti i caratteri più innovativi dell'architettura romana del tempo, per cui le riproduzioni adrianee di monumenti della Grecia o dell'Egitto vanno intese più come suggestioni evocative che come ricostruzioni reali.

Ciò lo portò ad avere una visione del ruolo di imperatore più assolutistica. Proprio per questo, per separarsi dal popolo e dai sudditi (così come lui lo intendeva) decise di erigere questa imponente costruzione, che a tutt'oggi resta un patrimonio storico molto importante e una testimonianza della grande capacità dei Romani nella costruzione degli edifici. La villa fu realizzata in tre fasi successive dal 121 al 137 d.C. Si tratta di una vera e propria città, estesa su di un'area di circa 300 ha, nella quale il grandioso complesso si presenta diviso in quattro nuclei diversamente caratterizzati.

Gli scavi[modifica | modifica wikitesto]

Modellino ricostruttivo della villa di Adriano
L'area che oggi riconosciamo come pertinente alla villa occupa di certo circa 120 ha: si tratta di una estensione di terreno vastissima per un complesso privato, sia pure di proprietà imperiale[6]. Non è tuttavia certo che la perimetrazione attuale comprenda l'intera superficie del comprensorio adrianeo.

Dopo la morte di Adriano la villa continuò ad essere utilizzata, come mostrano i bolli laterizi pertinenti a restauri del III secolo, ma in seguito fu progressivamente abbandonata e durante il medioevo ridotta a terreno agricolo, salvo essere utilizzata come cava di materiali edili di pregio (marmi, mosaici, decorazioni) per le case di Tivoli, e come riserva di pietra da cui estrarre calce.

Il primo a rinominarla, dopo secoli, fu l'umanista Flavio Biondo nel 1450, e una decina di anni dopo essa venne visitata e citata anche da papa Pio II Piccolomini. Si animò così – dalla fine del secolo – l'interesse di umanisti, mecenati, papi, cardinali e nobili per la villa. Interesse che fu, innegabilmente, soprattutto predatorio: alla ricerca di statue e marmi furono fatti eseguire scavi da papa Alessandro VI Borgia, poi dal cardinale Alessandro Farnese, poi dal cardinale Ippolito II d'Este, per il quale Pirro Ligorio prelevò grandi quantità di materiali destinati sia alla villa di Tivoli che a quella di Roma[7].

Al Ligorio si deve la prima rilevazione topografica della villa, datata attorno al 1560 e attualmente nella biblioteca di Windsor. La villa riscoperta fu frequentata – sia per conto dei ricchi committenti che per propria ispirazione e passione, anche da architetti come Antonio da Sangallo il Vecchio e Francesco Borromini, e artisti come Piranesi[8]. Dal XVI al XIX secolo si moltiplicarono gli scavi, anche da parte dei proprietari dei terreni che insistevano sull'area della villa, come il conte Fede o i Gesuiti ai quali apparteneva l'area del Pecile, e le oltre 300 opere maggiori ritrovate (ritratti, statue, erme, rilievi, sculture, mosaici) furono disperse per le collezioni private ed i musei di mezza Europa.

Nel 1870 lo Stato acquistò il comprensorio dalla famiglia Braschi che era in quel periodo la maggiore proprietaria dei terreni (altre parti, tuttavia, rimasero – e sono ancora – in mano a privati). Furono intrapresi scavi e restauri, che riportarono alla luce la stupefacente architettura degli edifici e talvolta anche stucchi e mosaici superstiti. Le ricerche continuano, ma l'esplorazione del sito è lungi dall'essere completata.

Villa Adriana è stata dichiarata nel 1999 patrimonio dell'umanità, con questa motivazione:

« Villa Adriana è un capolavoro che riunisce in maniera unica le forme più alte di espressione delle culture materiali dell'antico mondo mediterraneo. Lo studio dei monumenti che compongono la Villa Adriana ha svolto un ruolo decisivo nella scoperta degli elementi dell'architettura classica da parte degli architetti del Rinascimento e del Barocco. Essa ha, inoltre, profondamente influenzato un gran numero di architetti e disegnatori del XIX e del XX secolo. »
Questo riconoscimento è stato tuttavia messo in discussione dallo stesso World Heritage Committee dell'UNESCO, a causa di autorizzazioni edilizie rilasciate dal Comune di Tivoli nel 2011. Nel 2013 si è tenuta la 36ª riunione annuale del World Heritage Committee dell'UNESCO che si occupa dei siti considerati patrimonio dell'umanità, in cui è stata fatta richiesta all'Italia di informare il comitato di qualsiasi progetto di sviluppo nell'area buffer (zona cuscinetto stabilita con un accordo internazionale tra la Repubblica italiana e l'UNESCO per proteggere l'area archeologica). Il comitato potrebbe proporre la revoca dello status di patrimonio dell'umanità in seguito alla costruzione di alcuni edifici nell'area buffer come approvato in una delibera del 2011 del comune di Tivoli.

Tivoli: Villa Adriana. by vincenzovacca

© vincenzovacca, all rights reserved.

Tivoli: Villa Adriana.

Villa Adriana fu una residenza imperiale extraurbana a partire dal II secolo. Voluta dall'imperatore Adriano (76-138), si trova presso Tivoli (l'antica Tibur), oggi in città metropolitana di Roma Capitale. Realizzata gradualmente nella prima metà del II secolo a pochi chilometri dall'antica Tibur, la struttura appare un ricco complesso di edifici estesi su una vasta area, che doveva coprire circa 120 ha, in una zona ricca di fonti d'acqua a 17 miglia romane dall'Urbs[1]. Nel 1999 Villa Adriana è stata dichiarata Patrimonio dell'umanità dall'UNESCO.
Nel 2014 è stato il ventiseiesimo sito statale italiano più visitato, con 232 147 visitatori e un introito lordo totale di 546 598 EuroSi trova sui Monti Tiburtini, a circa 28 km (17 miglia romane) da Roma, dalla quale era raggiungibile sia per mezzo della via Tiburtina Valeria o della via Prenestina, sia tramite la navigazione sul fiume Aniene. La Villa si trovava sulla destra della via Tiburtina, poco oltre il ponte Lucano, prolungandosi fin quasi alle pendici del monte Ripoli su cui sorge Tivoli.

L'area prescelta si estendeva tra le valli dei fossi di Risicoli o di Roccabruna ad ovest e dell'Acqua Ferrata ad est, che, riunitisi, si gettano poi nell'Aniene; era una zona ricca di acque e vi passavano quattro degli antichi acquedotti romani che servivano Roma (Anio Vetus, Anio Novus, Aqua Marcia e Aqua Claudia). Nei pressi esiste tuttora la sorgente di acqua sulfurea delle Acque Albule (Bagni di Tivoli), che era conosciuta ed apprezzata dall'imperatore. Nei dintorni inoltre erano presenti numerose cave di materiali da costruzione (travertino, tufo e calcare per la realizzazione della calce).« Fece costruire con eccezionale sfarzo una villa a Tivoli dove erano riprodotti con i loro nomi i luoghi più celebri delle province dell'impero, come il Liceo, l'Accademia, il Pritaneo, la città di Canopo, il Pecile e la valle di Tempe; e per non tralasciare proprio nulla, vi aveva fatto raffigurare anche gli inferi. »
(Historia Augusta, Vita Hadriani, XXVI, 5)
Tra le molte ville rustiche che fin dall'età repubblicana erano sorte fra Roma e Tivoli, ne esisteva già una costruita nel periodo sillano, ingrandita all'epoca di Giulio Cesare, pervenuta forse in proprietà della moglie di Adriano, Vibia Sabina, che proveniva da una famiglia di antica nobiltà italica[3]. Fu questo il primo nucleo della villa, incorporato poi nel Palazzo imperiale.

Lo studio del sistema di canalizzazione e delle fognature sembra indicare che la progettazione del complesso sia stata unitaria, anche se dai bolli laterizi ritrovati in circa metà degli edifici emergono tre fasi di costruzione particolarmente attive tra il 118 e il 121, il 125 e il 128 e il 134-138 (consentendo di abbracciare un intervallo presumibile di costruzione tra il 118 e il 138). Di ritorno a Roma nei primi mesi del 134, Adriano poté godere della villa solamente gli ultimi anni della sua esistenza, fino alla morte avvenuta a Baia il 10 luglio 138.[4]

La complessità della residenza, più che alle numerose sfaccettature della personalità di Adriano, fu dovuta alla necessità di soddisfare esigenze e funzioni diverse (residenziali, di rappresentanza, di servizio), oltre che all'andamento frastagliato del terreno; la magnificenza e l'articolazione delle costruzioni rispecchiano le idee innovative dell'imperatore in campo architettonico. Si afferma comunemente che egli volle riprodurre nella sua villa i luoghi e i monumenti che più lo avevano colpito durante i suoi viaggi nelle province dell'impero, sulla base di un passo del suo biografo tardo-antico Elio Sparziano.[5] In realtà gli edifici della villa presentano tutti i caratteri più innovativi dell'architettura romana del tempo, per cui le riproduzioni adrianee di monumenti della Grecia o dell'Egitto vanno intese più come suggestioni evocative che come ricostruzioni reali.

Ciò lo portò ad avere una visione del ruolo di imperatore più assolutistica. Proprio per questo, per separarsi dal popolo e dai sudditi (così come lui lo intendeva) decise di erigere questa imponente costruzione, che a tutt'oggi resta un patrimonio storico molto importante e una testimonianza della grande capacità dei Romani nella costruzione degli edifici. La villa fu realizzata in tre fasi successive dal 121 al 137 d.C. Si tratta di una vera e propria città, estesa su di un'area di circa 300 ha, nella quale il grandioso complesso si presenta diviso in quattro nuclei diversamente caratterizzati.

Gli scavi[modifica | modifica wikitesto]

Modellino ricostruttivo della villa di Adriano
L'area che oggi riconosciamo come pertinente alla villa occupa di certo circa 120 ha: si tratta di una estensione di terreno vastissima per un complesso privato, sia pure di proprietà imperiale[6]. Non è tuttavia certo che la perimetrazione attuale comprenda l'intera superficie del comprensorio adrianeo.

Dopo la morte di Adriano la villa continuò ad essere utilizzata, come mostrano i bolli laterizi pertinenti a restauri del III secolo, ma in seguito fu progressivamente abbandonata e durante il medioevo ridotta a terreno agricolo, salvo essere utilizzata come cava di materiali edili di pregio (marmi, mosaici, decorazioni) per le case di Tivoli, e come riserva di pietra da cui estrarre calce.

Il primo a rinominarla, dopo secoli, fu l'umanista Flavio Biondo nel 1450, e una decina di anni dopo essa venne visitata e citata anche da papa Pio II Piccolomini. Si animò così – dalla fine del secolo – l'interesse di umanisti, mecenati, papi, cardinali e nobili per la villa. Interesse che fu, innegabilmente, soprattutto predatorio: alla ricerca di statue e marmi furono fatti eseguire scavi da papa Alessandro VI Borgia, poi dal cardinale Alessandro Farnese, poi dal cardinale Ippolito II d'Este, per il quale Pirro Ligorio prelevò grandi quantità di materiali destinati sia alla villa di Tivoli che a quella di Roma[7].

Al Ligorio si deve la prima rilevazione topografica della villa, datata attorno al 1560 e attualmente nella biblioteca di Windsor. La villa riscoperta fu frequentata – sia per conto dei ricchi committenti che per propria ispirazione e passione, anche da architetti come Antonio da Sangallo il Vecchio e Francesco Borromini, e artisti come Piranesi[8]. Dal XVI al XIX secolo si moltiplicarono gli scavi, anche da parte dei proprietari dei terreni che insistevano sull'area della villa, come il conte Fede o i Gesuiti ai quali apparteneva l'area del Pecile, e le oltre 300 opere maggiori ritrovate (ritratti, statue, erme, rilievi, sculture, mosaici) furono disperse per le collezioni private ed i musei di mezza Europa.

Nel 1870 lo Stato acquistò il comprensorio dalla famiglia Braschi che era in quel periodo la maggiore proprietaria dei terreni (altre parti, tuttavia, rimasero – e sono ancora – in mano a privati). Furono intrapresi scavi e restauri, che riportarono alla luce la stupefacente architettura degli edifici e talvolta anche stucchi e mosaici superstiti. Le ricerche continuano, ma l'esplorazione del sito è lungi dall'essere completata.

Villa Adriana è stata dichiarata nel 1999 patrimonio dell'umanità, con questa motivazione:

« Villa Adriana è un capolavoro che riunisce in maniera unica le forme più alte di espressione delle culture materiali dell'antico mondo mediterraneo. Lo studio dei monumenti che compongono la Villa Adriana ha svolto un ruolo decisivo nella scoperta degli elementi dell'architettura classica da parte degli architetti del Rinascimento e del Barocco. Essa ha, inoltre, profondamente influenzato un gran numero di architetti e disegnatori del XIX e del XX secolo. »
Questo riconoscimento è stato tuttavia messo in discussione dallo stesso World Heritage Committee dell'UNESCO, a causa di autorizzazioni edilizie rilasciate dal Comune di Tivoli nel 2011. Nel 2013 si è tenuta la 36ª riunione annuale del World Heritage Committee dell'UNESCO che si occupa dei siti considerati patrimonio dell'umanità, in cui è stata fatta richiesta all'Italia di informare il comitato di qualsiasi progetto di sviluppo nell'area buffer (zona cuscinetto stabilita con un accordo internazionale tra la Repubblica italiana e l'UNESCO per proteggere l'area archeologica). Il comitato potrebbe proporre la revoca dello status di patrimonio dell'umanità in seguito alla costruzione di alcuni edifici nell'area buffer come approvato in una delibera del 2011 del comune di Tivoli.

Tivoli: Villa Adriana. by vincenzovacca

© vincenzovacca, all rights reserved.

Tivoli: Villa Adriana.

Villa Adriana fu una residenza imperiale extraurbana a partire dal II secolo. Voluta dall'imperatore Adriano (76-138), si trova presso Tivoli (l'antica Tibur), oggi in città metropolitana di Roma Capitale. Realizzata gradualmente nella prima metà del II secolo a pochi chilometri dall'antica Tibur, la struttura appare un ricco complesso di edifici estesi su una vasta area, che doveva coprire circa 120 ha, in una zona ricca di fonti d'acqua a 17 miglia romane dall'Urbs[1]. Nel 1999 Villa Adriana è stata dichiarata Patrimonio dell'umanità dall'UNESCO.
Nel 2014 è stato il ventiseiesimo sito statale italiano più visitato, con 232 147 visitatori e un introito lordo totale di 546 598 EuroSi trova sui Monti Tiburtini, a circa 28 km (17 miglia romane) da Roma, dalla quale era raggiungibile sia per mezzo della via Tiburtina Valeria o della via Prenestina, sia tramite la navigazione sul fiume Aniene. La Villa si trovava sulla destra della via Tiburtina, poco oltre il ponte Lucano, prolungandosi fin quasi alle pendici del monte Ripoli su cui sorge Tivoli.

L'area prescelta si estendeva tra le valli dei fossi di Risicoli o di Roccabruna ad ovest e dell'Acqua Ferrata ad est, che, riunitisi, si gettano poi nell'Aniene; era una zona ricca di acque e vi passavano quattro degli antichi acquedotti romani che servivano Roma (Anio Vetus, Anio Novus, Aqua Marcia e Aqua Claudia). Nei pressi esiste tuttora la sorgente di acqua sulfurea delle Acque Albule (Bagni di Tivoli), che era conosciuta ed apprezzata dall'imperatore. Nei dintorni inoltre erano presenti numerose cave di materiali da costruzione (travertino, tufo e calcare per la realizzazione della calce).« Fece costruire con eccezionale sfarzo una villa a Tivoli dove erano riprodotti con i loro nomi i luoghi più celebri delle province dell'impero, come il Liceo, l'Accademia, il Pritaneo, la città di Canopo, il Pecile e la valle di Tempe; e per non tralasciare proprio nulla, vi aveva fatto raffigurare anche gli inferi. »
(Historia Augusta, Vita Hadriani, XXVI, 5)
Tra le molte ville rustiche che fin dall'età repubblicana erano sorte fra Roma e Tivoli, ne esisteva già una costruita nel periodo sillano, ingrandita all'epoca di Giulio Cesare, pervenuta forse in proprietà della moglie di Adriano, Vibia Sabina, che proveniva da una famiglia di antica nobiltà italica[3]. Fu questo il primo nucleo della villa, incorporato poi nel Palazzo imperiale.

Lo studio del sistema di canalizzazione e delle fognature sembra indicare che la progettazione del complesso sia stata unitaria, anche se dai bolli laterizi ritrovati in circa metà degli edifici emergono tre fasi di costruzione particolarmente attive tra il 118 e il 121, il 125 e il 128 e il 134-138 (consentendo di abbracciare un intervallo presumibile di costruzione tra il 118 e il 138). Di ritorno a Roma nei primi mesi del 134, Adriano poté godere della villa solamente gli ultimi anni della sua esistenza, fino alla morte avvenuta a Baia il 10 luglio 138.[4]

La complessità della residenza, più che alle numerose sfaccettature della personalità di Adriano, fu dovuta alla necessità di soddisfare esigenze e funzioni diverse (residenziali, di rappresentanza, di servizio), oltre che all'andamento frastagliato del terreno; la magnificenza e l'articolazione delle costruzioni rispecchiano le idee innovative dell'imperatore in campo architettonico. Si afferma comunemente che egli volle riprodurre nella sua villa i luoghi e i monumenti che più lo avevano colpito durante i suoi viaggi nelle province dell'impero, sulla base di un passo del suo biografo tardo-antico Elio Sparziano.[5] In realtà gli edifici della villa presentano tutti i caratteri più innovativi dell'architettura romana del tempo, per cui le riproduzioni adrianee di monumenti della Grecia o dell'Egitto vanno intese più come suggestioni evocative che come ricostruzioni reali.

Ciò lo portò ad avere una visione del ruolo di imperatore più assolutistica. Proprio per questo, per separarsi dal popolo e dai sudditi (così come lui lo intendeva) decise di erigere questa imponente costruzione, che a tutt'oggi resta un patrimonio storico molto importante e una testimonianza della grande capacità dei Romani nella costruzione degli edifici. La villa fu realizzata in tre fasi successive dal 121 al 137 d.C. Si tratta di una vera e propria città, estesa su di un'area di circa 300 ha, nella quale il grandioso complesso si presenta diviso in quattro nuclei diversamente caratterizzati.

Gli scavi[modifica | modifica wikitesto]

Modellino ricostruttivo della villa di Adriano
L'area che oggi riconosciamo come pertinente alla villa occupa di certo circa 120 ha: si tratta di una estensione di terreno vastissima per un complesso privato, sia pure di proprietà imperiale[6]. Non è tuttavia certo che la perimetrazione attuale comprenda l'intera superficie del comprensorio adrianeo.

Dopo la morte di Adriano la villa continuò ad essere utilizzata, come mostrano i bolli laterizi pertinenti a restauri del III secolo, ma in seguito fu progressivamente abbandonata e durante il medioevo ridotta a terreno agricolo, salvo essere utilizzata come cava di materiali edili di pregio (marmi, mosaici, decorazioni) per le case di Tivoli, e come riserva di pietra da cui estrarre calce.

Il primo a rinominarla, dopo secoli, fu l'umanista Flavio Biondo nel 1450, e una decina di anni dopo essa venne visitata e citata anche da papa Pio II Piccolomini. Si animò così – dalla fine del secolo – l'interesse di umanisti, mecenati, papi, cardinali e nobili per la villa. Interesse che fu, innegabilmente, soprattutto predatorio: alla ricerca di statue e marmi furono fatti eseguire scavi da papa Alessandro VI Borgia, poi dal cardinale Alessandro Farnese, poi dal cardinale Ippolito II d'Este, per il quale Pirro Ligorio prelevò grandi quantità di materiali destinati sia alla villa di Tivoli che a quella di Roma[7].

Al Ligorio si deve la prima rilevazione topografica della villa, datata attorno al 1560 e attualmente nella biblioteca di Windsor. La villa riscoperta fu frequentata – sia per conto dei ricchi committenti che per propria ispirazione e passione, anche da architetti come Antonio da Sangallo il Vecchio e Francesco Borromini, e artisti come Piranesi[8]. Dal XVI al XIX secolo si moltiplicarono gli scavi, anche da parte dei proprietari dei terreni che insistevano sull'area della villa, come il conte Fede o i Gesuiti ai quali apparteneva l'area del Pecile, e le oltre 300 opere maggiori ritrovate (ritratti, statue, erme, rilievi, sculture, mosaici) furono disperse per le collezioni private ed i musei di mezza Europa.

Nel 1870 lo Stato acquistò il comprensorio dalla famiglia Braschi che era in quel periodo la maggiore proprietaria dei terreni (altre parti, tuttavia, rimasero – e sono ancora – in mano a privati). Furono intrapresi scavi e restauri, che riportarono alla luce la stupefacente architettura degli edifici e talvolta anche stucchi e mosaici superstiti. Le ricerche continuano, ma l'esplorazione del sito è lungi dall'essere completata.

Villa Adriana è stata dichiarata nel 1999 patrimonio dell'umanità, con questa motivazione:

« Villa Adriana è un capolavoro che riunisce in maniera unica le forme più alte di espressione delle culture materiali dell'antico mondo mediterraneo. Lo studio dei monumenti che compongono la Villa Adriana ha svolto un ruolo decisivo nella scoperta degli elementi dell'architettura classica da parte degli architetti del Rinascimento e del Barocco. Essa ha, inoltre, profondamente influenzato un gran numero di architetti e disegnatori del XIX e del XX secolo. »
Questo riconoscimento è stato tuttavia messo in discussione dallo stesso World Heritage Committee dell'UNESCO, a causa di autorizzazioni edilizie rilasciate dal Comune di Tivoli nel 2011. Nel 2013 si è tenuta la 36ª riunione annuale del World Heritage Committee dell'UNESCO che si occupa dei siti considerati patrimonio dell'umanità, in cui è stata fatta richiesta all'Italia di informare il comitato di qualsiasi progetto di sviluppo nell'area buffer (zona cuscinetto stabilita con un accordo internazionale tra la Repubblica italiana e l'UNESCO per proteggere l'area archeologica). Il comitato potrebbe proporre la revoca dello status di patrimonio dell'umanità in seguito alla costruzione di alcuni edifici nell'area buffer come approvato in una delibera del 2011 del comune di Tivoli.

Tivoli: Villa Adriana. by vincenzovacca

© vincenzovacca, all rights reserved.

Tivoli: Villa Adriana.

Villa Adriana fu una residenza imperiale extraurbana a partire dal II secolo. Voluta dall'imperatore Adriano (76-138), si trova presso Tivoli (l'antica Tibur), oggi in città metropolitana di Roma Capitale. Realizzata gradualmente nella prima metà del II secolo a pochi chilometri dall'antica Tibur, la struttura appare un ricco complesso di edifici estesi su una vasta area, che doveva coprire circa 120 ha, in una zona ricca di fonti d'acqua a 17 miglia romane dall'Urbs[1]. Nel 1999 Villa Adriana è stata dichiarata Patrimonio dell'umanità dall'UNESCO.
Nel 2014 è stato il ventiseiesimo sito statale italiano più visitato, con 232 147 visitatori e un introito lordo totale di 546 598 EuroSi trova sui Monti Tiburtini, a circa 28 km (17 miglia romane) da Roma, dalla quale era raggiungibile sia per mezzo della via Tiburtina Valeria o della via Prenestina, sia tramite la navigazione sul fiume Aniene. La Villa si trovava sulla destra della via Tiburtina, poco oltre il ponte Lucano, prolungandosi fin quasi alle pendici del monte Ripoli su cui sorge Tivoli.

L'area prescelta si estendeva tra le valli dei fossi di Risicoli o di Roccabruna ad ovest e dell'Acqua Ferrata ad est, che, riunitisi, si gettano poi nell'Aniene; era una zona ricca di acque e vi passavano quattro degli antichi acquedotti romani che servivano Roma (Anio Vetus, Anio Novus, Aqua Marcia e Aqua Claudia). Nei pressi esiste tuttora la sorgente di acqua sulfurea delle Acque Albule (Bagni di Tivoli), che era conosciuta ed apprezzata dall'imperatore. Nei dintorni inoltre erano presenti numerose cave di materiali da costruzione (travertino, tufo e calcare per la realizzazione della calce).« Fece costruire con eccezionale sfarzo una villa a Tivoli dove erano riprodotti con i loro nomi i luoghi più celebri delle province dell'impero, come il Liceo, l'Accademia, il Pritaneo, la città di Canopo, il Pecile e la valle di Tempe; e per non tralasciare proprio nulla, vi aveva fatto raffigurare anche gli inferi. »
(Historia Augusta, Vita Hadriani, XXVI, 5)
Tra le molte ville rustiche che fin dall'età repubblicana erano sorte fra Roma e Tivoli, ne esisteva già una costruita nel periodo sillano, ingrandita all'epoca di Giulio Cesare, pervenuta forse in proprietà della moglie di Adriano, Vibia Sabina, che proveniva da una famiglia di antica nobiltà italica[3]. Fu questo il primo nucleo della villa, incorporato poi nel Palazzo imperiale.

Lo studio del sistema di canalizzazione e delle fognature sembra indicare che la progettazione del complesso sia stata unitaria, anche se dai bolli laterizi ritrovati in circa metà degli edifici emergono tre fasi di costruzione particolarmente attive tra il 118 e il 121, il 125 e il 128 e il 134-138 (consentendo di abbracciare un intervallo presumibile di costruzione tra il 118 e il 138). Di ritorno a Roma nei primi mesi del 134, Adriano poté godere della villa solamente gli ultimi anni della sua esistenza, fino alla morte avvenuta a Baia il 10 luglio 138.[4]

La complessità della residenza, più che alle numerose sfaccettature della personalità di Adriano, fu dovuta alla necessità di soddisfare esigenze e funzioni diverse (residenziali, di rappresentanza, di servizio), oltre che all'andamento frastagliato del terreno; la magnificenza e l'articolazione delle costruzioni rispecchiano le idee innovative dell'imperatore in campo architettonico. Si afferma comunemente che egli volle riprodurre nella sua villa i luoghi e i monumenti che più lo avevano colpito durante i suoi viaggi nelle province dell'impero, sulla base di un passo del suo biografo tardo-antico Elio Sparziano.[5] In realtà gli edifici della villa presentano tutti i caratteri più innovativi dell'architettura romana del tempo, per cui le riproduzioni adrianee di monumenti della Grecia o dell'Egitto vanno intese più come suggestioni evocative che come ricostruzioni reali.

Ciò lo portò ad avere una visione del ruolo di imperatore più assolutistica. Proprio per questo, per separarsi dal popolo e dai sudditi (così come lui lo intendeva) decise di erigere questa imponente costruzione, che a tutt'oggi resta un patrimonio storico molto importante e una testimonianza della grande capacità dei Romani nella costruzione degli edifici. La villa fu realizzata in tre fasi successive dal 121 al 137 d.C. Si tratta di una vera e propria città, estesa su di un'area di circa 300 ha, nella quale il grandioso complesso si presenta diviso in quattro nuclei diversamente caratterizzati.

Gli scavi[modifica | modifica wikitesto]

Modellino ricostruttivo della villa di Adriano
L'area che oggi riconosciamo come pertinente alla villa occupa di certo circa 120 ha: si tratta di una estensione di terreno vastissima per un complesso privato, sia pure di proprietà imperiale[6]. Non è tuttavia certo che la perimetrazione attuale comprenda l'intera superficie del comprensorio adrianeo.

Dopo la morte di Adriano la villa continuò ad essere utilizzata, come mostrano i bolli laterizi pertinenti a restauri del III secolo, ma in seguito fu progressivamente abbandonata e durante il medioevo ridotta a terreno agricolo, salvo essere utilizzata come cava di materiali edili di pregio (marmi, mosaici, decorazioni) per le case di Tivoli, e come riserva di pietra da cui estrarre calce.

Il primo a rinominarla, dopo secoli, fu l'umanista Flavio Biondo nel 1450, e una decina di anni dopo essa venne visitata e citata anche da papa Pio II Piccolomini. Si animò così – dalla fine del secolo – l'interesse di umanisti, mecenati, papi, cardinali e nobili per la villa. Interesse che fu, innegabilmente, soprattutto predatorio: alla ricerca di statue e marmi furono fatti eseguire scavi da papa Alessandro VI Borgia, poi dal cardinale Alessandro Farnese, poi dal cardinale Ippolito II d'Este, per il quale Pirro Ligorio prelevò grandi quantità di materiali destinati sia alla villa di Tivoli che a quella di Roma[7].

Al Ligorio si deve la prima rilevazione topografica della villa, datata attorno al 1560 e attualmente nella biblioteca di Windsor. La villa riscoperta fu frequentata – sia per conto dei ricchi committenti che per propria ispirazione e passione, anche da architetti come Antonio da Sangallo il Vecchio e Francesco Borromini, e artisti come Piranesi[8]. Dal XVI al XIX secolo si moltiplicarono gli scavi, anche da parte dei proprietari dei terreni che insistevano sull'area della villa, come il conte Fede o i Gesuiti ai quali apparteneva l'area del Pecile, e le oltre 300 opere maggiori ritrovate (ritratti, statue, erme, rilievi, sculture, mosaici) furono disperse per le collezioni private ed i musei di mezza Europa.

Nel 1870 lo Stato acquistò il comprensorio dalla famiglia Braschi che era in quel periodo la maggiore proprietaria dei terreni (altre parti, tuttavia, rimasero – e sono ancora – in mano a privati). Furono intrapresi scavi e restauri, che riportarono alla luce la stupefacente architettura degli edifici e talvolta anche stucchi e mosaici superstiti. Le ricerche continuano, ma l'esplorazione del sito è lungi dall'essere completata.

Villa Adriana è stata dichiarata nel 1999 patrimonio dell'umanità, con questa motivazione:

« Villa Adriana è un capolavoro che riunisce in maniera unica le forme più alte di espressione delle culture materiali dell'antico mondo mediterraneo. Lo studio dei monumenti che compongono la Villa Adriana ha svolto un ruolo decisivo nella scoperta degli elementi dell'architettura classica da parte degli architetti del Rinascimento e del Barocco. Essa ha, inoltre, profondamente influenzato un gran numero di architetti e disegnatori del XIX e del XX secolo. »
Questo riconoscimento è stato tuttavia messo in discussione dallo stesso World Heritage Committee dell'UNESCO, a causa di autorizzazioni edilizie rilasciate dal Comune di Tivoli nel 2011. Nel 2013 si è tenuta la 36ª riunione annuale del World Heritage Committee dell'UNESCO che si occupa dei siti considerati patrimonio dell'umanità, in cui è stata fatta richiesta all'Italia di informare il comitato di qualsiasi progetto di sviluppo nell'area buffer (zona cuscinetto stabilita con un accordo internazionale tra la Repubblica italiana e l'UNESCO per proteggere l'area archeologica). Il comitato potrebbe proporre la revoca dello status di patrimonio dell'umanità in seguito alla costruzione di alcuni edifici nell'area buffer come approvato in una delibera del 2011 del comune di Tivoli.

Tivoli: Villa Adriana. by vincenzovacca

© vincenzovacca, all rights reserved.

Tivoli: Villa Adriana.

Villa Adriana fu una residenza imperiale extraurbana a partire dal II secolo. Voluta dall'imperatore Adriano (76-138), si trova presso Tivoli (l'antica Tibur), oggi in città metropolitana di Roma Capitale. Realizzata gradualmente nella prima metà del II secolo a pochi chilometri dall'antica Tibur, la struttura appare un ricco complesso di edifici estesi su una vasta area, che doveva coprire circa 120 ha, in una zona ricca di fonti d'acqua a 17 miglia romane dall'Urbs[1]. Nel 1999 Villa Adriana è stata dichiarata Patrimonio dell'umanità dall'UNESCO.
Nel 2014 è stato il ventiseiesimo sito statale italiano più visitato, con 232 147 visitatori e un introito lordo totale di 546 598 EuroSi trova sui Monti Tiburtini, a circa 28 km (17 miglia romane) da Roma, dalla quale era raggiungibile sia per mezzo della via Tiburtina Valeria o della via Prenestina, sia tramite la navigazione sul fiume Aniene. La Villa si trovava sulla destra della via Tiburtina, poco oltre il ponte Lucano, prolungandosi fin quasi alle pendici del monte Ripoli su cui sorge Tivoli.

L'area prescelta si estendeva tra le valli dei fossi di Risicoli o di Roccabruna ad ovest e dell'Acqua Ferrata ad est, che, riunitisi, si gettano poi nell'Aniene; era una zona ricca di acque e vi passavano quattro degli antichi acquedotti romani che servivano Roma (Anio Vetus, Anio Novus, Aqua Marcia e Aqua Claudia). Nei pressi esiste tuttora la sorgente di acqua sulfurea delle Acque Albule (Bagni di Tivoli), che era conosciuta ed apprezzata dall'imperatore. Nei dintorni inoltre erano presenti numerose cave di materiali da costruzione (travertino, tufo e calcare per la realizzazione della calce).« Fece costruire con eccezionale sfarzo una villa a Tivoli dove erano riprodotti con i loro nomi i luoghi più celebri delle province dell'impero, come il Liceo, l'Accademia, il Pritaneo, la città di Canopo, il Pecile e la valle di Tempe; e per non tralasciare proprio nulla, vi aveva fatto raffigurare anche gli inferi. »
(Historia Augusta, Vita Hadriani, XXVI, 5)
Tra le molte ville rustiche che fin dall'età repubblicana erano sorte fra Roma e Tivoli, ne esisteva già una costruita nel periodo sillano, ingrandita all'epoca di Giulio Cesare, pervenuta forse in proprietà della moglie di Adriano, Vibia Sabina, che proveniva da una famiglia di antica nobiltà italica[3]. Fu questo il primo nucleo della villa, incorporato poi nel Palazzo imperiale.

Lo studio del sistema di canalizzazione e delle fognature sembra indicare che la progettazione del complesso sia stata unitaria, anche se dai bolli laterizi ritrovati in circa metà degli edifici emergono tre fasi di costruzione particolarmente attive tra il 118 e il 121, il 125 e il 128 e il 134-138 (consentendo di abbracciare un intervallo presumibile di costruzione tra il 118 e il 138). Di ritorno a Roma nei primi mesi del 134, Adriano poté godere della villa solamente gli ultimi anni della sua esistenza, fino alla morte avvenuta a Baia il 10 luglio 138.[4]

La complessità della residenza, più che alle numerose sfaccettature della personalità di Adriano, fu dovuta alla necessità di soddisfare esigenze e funzioni diverse (residenziali, di rappresentanza, di servizio), oltre che all'andamento frastagliato del terreno; la magnificenza e l'articolazione delle costruzioni rispecchiano le idee innovative dell'imperatore in campo architettonico. Si afferma comunemente che egli volle riprodurre nella sua villa i luoghi e i monumenti che più lo avevano colpito durante i suoi viaggi nelle province dell'impero, sulla base di un passo del suo biografo tardo-antico Elio Sparziano.[5] In realtà gli edifici della villa presentano tutti i caratteri più innovativi dell'architettura romana del tempo, per cui le riproduzioni adrianee di monumenti della Grecia o dell'Egitto vanno intese più come suggestioni evocative che come ricostruzioni reali.

Ciò lo portò ad avere una visione del ruolo di imperatore più assolutistica. Proprio per questo, per separarsi dal popolo e dai sudditi (così come lui lo intendeva) decise di erigere questa imponente costruzione, che a tutt'oggi resta un patrimonio storico molto importante e una testimonianza della grande capacità dei Romani nella costruzione degli edifici. La villa fu realizzata in tre fasi successive dal 121 al 137 d.C. Si tratta di una vera e propria città, estesa su di un'area di circa 300 ha, nella quale il grandioso complesso si presenta diviso in quattro nuclei diversamente caratterizzati.

Gli scavi[modifica | modifica wikitesto]

Modellino ricostruttivo della villa di Adriano
L'area che oggi riconosciamo come pertinente alla villa occupa di certo circa 120 ha: si tratta di una estensione di terreno vastissima per un complesso privato, sia pure di proprietà imperiale[6]. Non è tuttavia certo che la perimetrazione attuale comprenda l'intera superficie del comprensorio adrianeo.

Dopo la morte di Adriano la villa continuò ad essere utilizzata, come mostrano i bolli laterizi pertinenti a restauri del III secolo, ma in seguito fu progressivamente abbandonata e durante il medioevo ridotta a terreno agricolo, salvo essere utilizzata come cava di materiali edili di pregio (marmi, mosaici, decorazioni) per le case di Tivoli, e come riserva di pietra da cui estrarre calce.

Il primo a rinominarla, dopo secoli, fu l'umanista Flavio Biondo nel 1450, e una decina di anni dopo essa venne visitata e citata anche da papa Pio II Piccolomini. Si animò così – dalla fine del secolo – l'interesse di umanisti, mecenati, papi, cardinali e nobili per la villa. Interesse che fu, innegabilmente, soprattutto predatorio: alla ricerca di statue e marmi furono fatti eseguire scavi da papa Alessandro VI Borgia, poi dal cardinale Alessandro Farnese, poi dal cardinale Ippolito II d'Este, per il quale Pirro Ligorio prelevò grandi quantità di materiali destinati sia alla villa di Tivoli che a quella di Roma[7].

Al Ligorio si deve la prima rilevazione topografica della villa, datata attorno al 1560 e attualmente nella biblioteca di Windsor. La villa riscoperta fu frequentata – sia per conto dei ricchi committenti che per propria ispirazione e passione, anche da architetti come Antonio da Sangallo il Vecchio e Francesco Borromini, e artisti come Piranesi[8]. Dal XVI al XIX secolo si moltiplicarono gli scavi, anche da parte dei proprietari dei terreni che insistevano sull'area della villa, come il conte Fede o i Gesuiti ai quali apparteneva l'area del Pecile, e le oltre 300 opere maggiori ritrovate (ritratti, statue, erme, rilievi, sculture, mosaici) furono disperse per le collezioni private ed i musei di mezza Europa.

Nel 1870 lo Stato acquistò il comprensorio dalla famiglia Braschi che era in quel periodo la maggiore proprietaria dei terreni (altre parti, tuttavia, rimasero – e sono ancora – in mano a privati). Furono intrapresi scavi e restauri, che riportarono alla luce la stupefacente architettura degli edifici e talvolta anche stucchi e mosaici superstiti. Le ricerche continuano, ma l'esplorazione del sito è lungi dall'essere completata.

Villa Adriana è stata dichiarata nel 1999 patrimonio dell'umanità, con questa motivazione:

« Villa Adriana è un capolavoro che riunisce in maniera unica le forme più alte di espressione delle culture materiali dell'antico mondo mediterraneo. Lo studio dei monumenti che compongono la Villa Adriana ha svolto un ruolo decisivo nella scoperta degli elementi dell'architettura classica da parte degli architetti del Rinascimento e del Barocco. Essa ha, inoltre, profondamente influenzato un gran numero di architetti e disegnatori del XIX e del XX secolo. »
Questo riconoscimento è stato tuttavia messo in discussione dallo stesso World Heritage Committee dell'UNESCO, a causa di autorizzazioni edilizie rilasciate dal Comune di Tivoli nel 2011. Nel 2013 si è tenuta la 36ª riunione annuale del World Heritage Committee dell'UNESCO che si occupa dei siti considerati patrimonio dell'umanità, in cui è stata fatta richiesta all'Italia di informare il comitato di qualsiasi progetto di sviluppo nell'area buffer (zona cuscinetto stabilita con un accordo internazionale tra la Repubblica italiana e l'UNESCO per proteggere l'area archeologica). Il comitato potrebbe proporre la revoca dello status di patrimonio dell'umanità in seguito alla costruzione di alcuni edifici nell'area buffer come approvato in una delibera del 2011 del comune di Tivoli.

Tivoli: Villa Adriana. by vincenzovacca

© vincenzovacca, all rights reserved.

Tivoli: Villa Adriana.

Villa Adriana fu una residenza imperiale extraurbana a partire dal II secolo. Voluta dall'imperatore Adriano (76-138), si trova presso Tivoli (l'antica Tibur), oggi in città metropolitana di Roma Capitale. Realizzata gradualmente nella prima metà del II secolo a pochi chilometri dall'antica Tibur, la struttura appare un ricco complesso di edifici estesi su una vasta area, che doveva coprire circa 120 ha, in una zona ricca di fonti d'acqua a 17 miglia romane dall'Urbs[1]. Nel 1999 Villa Adriana è stata dichiarata Patrimonio dell'umanità dall'UNESCO.
Nel 2014 è stato il ventiseiesimo sito statale italiano più visitato, con 232 147 visitatori e un introito lordo totale di 546 598 EuroSi trova sui Monti Tiburtini, a circa 28 km (17 miglia romane) da Roma, dalla quale era raggiungibile sia per mezzo della via Tiburtina Valeria o della via Prenestina, sia tramite la navigazione sul fiume Aniene. La Villa si trovava sulla destra della via Tiburtina, poco oltre il ponte Lucano, prolungandosi fin quasi alle pendici del monte Ripoli su cui sorge Tivoli.

L'area prescelta si estendeva tra le valli dei fossi di Risicoli o di Roccabruna ad ovest e dell'Acqua Ferrata ad est, che, riunitisi, si gettano poi nell'Aniene; era una zona ricca di acque e vi passavano quattro degli antichi acquedotti romani che servivano Roma (Anio Vetus, Anio Novus, Aqua Marcia e Aqua Claudia). Nei pressi esiste tuttora la sorgente di acqua sulfurea delle Acque Albule (Bagni di Tivoli), che era conosciuta ed apprezzata dall'imperatore. Nei dintorni inoltre erano presenti numerose cave di materiali da costruzione (travertino, tufo e calcare per la realizzazione della calce).« Fece costruire con eccezionale sfarzo una villa a Tivoli dove erano riprodotti con i loro nomi i luoghi più celebri delle province dell'impero, come il Liceo, l'Accademia, il Pritaneo, la città di Canopo, il Pecile e la valle di Tempe; e per non tralasciare proprio nulla, vi aveva fatto raffigurare anche gli inferi. »
(Historia Augusta, Vita Hadriani, XXVI, 5)
Tra le molte ville rustiche che fin dall'età repubblicana erano sorte fra Roma e Tivoli, ne esisteva già una costruita nel periodo sillano, ingrandita all'epoca di Giulio Cesare, pervenuta forse in proprietà della moglie di Adriano, Vibia Sabina, che proveniva da una famiglia di antica nobiltà italica[3]. Fu questo il primo nucleo della villa, incorporato poi nel Palazzo imperiale.

Lo studio del sistema di canalizzazione e delle fognature sembra indicare che la progettazione del complesso sia stata unitaria, anche se dai bolli laterizi ritrovati in circa metà degli edifici emergono tre fasi di costruzione particolarmente attive tra il 118 e il 121, il 125 e il 128 e il 134-138 (consentendo di abbracciare un intervallo presumibile di costruzione tra il 118 e il 138). Di ritorno a Roma nei primi mesi del 134, Adriano poté godere della villa solamente gli ultimi anni della sua esistenza, fino alla morte avvenuta a Baia il 10 luglio 138.[4]

La complessità della residenza, più che alle numerose sfaccettature della personalità di Adriano, fu dovuta alla necessità di soddisfare esigenze e funzioni diverse (residenziali, di rappresentanza, di servizio), oltre che all'andamento frastagliato del terreno; la magnificenza e l'articolazione delle costruzioni rispecchiano le idee innovative dell'imperatore in campo architettonico. Si afferma comunemente che egli volle riprodurre nella sua villa i luoghi e i monumenti che più lo avevano colpito durante i suoi viaggi nelle province dell'impero, sulla base di un passo del suo biografo tardo-antico Elio Sparziano.[5] In realtà gli edifici della villa presentano tutti i caratteri più innovativi dell'architettura romana del tempo, per cui le riproduzioni adrianee di monumenti della Grecia o dell'Egitto vanno intese più come suggestioni evocative che come ricostruzioni reali.

Ciò lo portò ad avere una visione del ruolo di imperatore più assolutistica. Proprio per questo, per separarsi dal popolo e dai sudditi (così come lui lo intendeva) decise di erigere questa imponente costruzione, che a tutt'oggi resta un patrimonio storico molto importante e una testimonianza della grande capacità dei Romani nella costruzione degli edifici. La villa fu realizzata in tre fasi successive dal 121 al 137 d.C. Si tratta di una vera e propria città, estesa su di un'area di circa 300 ha, nella quale il grandioso complesso si presenta diviso in quattro nuclei diversamente caratterizzati.

Gli scavi[modifica | modifica wikitesto]

Modellino ricostruttivo della villa di Adriano
L'area che oggi riconosciamo come pertinente alla villa occupa di certo circa 120 ha: si tratta di una estensione di terreno vastissima per un complesso privato, sia pure di proprietà imperiale[6]. Non è tuttavia certo che la perimetrazione attuale comprenda l'intera superficie del comprensorio adrianeo.

Dopo la morte di Adriano la villa continuò ad essere utilizzata, come mostrano i bolli laterizi pertinenti a restauri del III secolo, ma in seguito fu progressivamente abbandonata e durante il medioevo ridotta a terreno agricolo, salvo essere utilizzata come cava di materiali edili di pregio (marmi, mosaici, decorazioni) per le case di Tivoli, e come riserva di pietra da cui estrarre calce.

Il primo a rinominarla, dopo secoli, fu l'umanista Flavio Biondo nel 1450, e una decina di anni dopo essa venne visitata e citata anche da papa Pio II Piccolomini. Si animò così – dalla fine del secolo – l'interesse di umanisti, mecenati, papi, cardinali e nobili per la villa. Interesse che fu, innegabilmente, soprattutto predatorio: alla ricerca di statue e marmi furono fatti eseguire scavi da papa Alessandro VI Borgia, poi dal cardinale Alessandro Farnese, poi dal cardinale Ippolito II d'Este, per il quale Pirro Ligorio prelevò grandi quantità di materiali destinati sia alla villa di Tivoli che a quella di Roma[7].

Al Ligorio si deve la prima rilevazione topografica della villa, datata attorno al 1560 e attualmente nella biblioteca di Windsor. La villa riscoperta fu frequentata – sia per conto dei ricchi committenti che per propria ispirazione e passione, anche da architetti come Antonio da Sangallo il Vecchio e Francesco Borromini, e artisti come Piranesi[8]. Dal XVI al XIX secolo si moltiplicarono gli scavi, anche da parte dei proprietari dei terreni che insistevano sull'area della villa, come il conte Fede o i Gesuiti ai quali apparteneva l'area del Pecile, e le oltre 300 opere maggiori ritrovate (ritratti, statue, erme, rilievi, sculture, mosaici) furono disperse per le collezioni private ed i musei di mezza Europa.

Nel 1870 lo Stato acquistò il comprensorio dalla famiglia Braschi che era in quel periodo la maggiore proprietaria dei terreni (altre parti, tuttavia, rimasero – e sono ancora – in mano a privati). Furono intrapresi scavi e restauri, che riportarono alla luce la stupefacente architettura degli edifici e talvolta anche stucchi e mosaici superstiti. Le ricerche continuano, ma l'esplorazione del sito è lungi dall'essere completata.

Villa Adriana è stata dichiarata nel 1999 patrimonio dell'umanità, con questa motivazione:

« Villa Adriana è un capolavoro che riunisce in maniera unica le forme più alte di espressione delle culture materiali dell'antico mondo mediterraneo. Lo studio dei monumenti che compongono la Villa Adriana ha svolto un ruolo decisivo nella scoperta degli elementi dell'architettura classica da parte degli architetti del Rinascimento e del Barocco. Essa ha, inoltre, profondamente influenzato un gran numero di architetti e disegnatori del XIX e del XX secolo. »
Questo riconoscimento è stato tuttavia messo in discussione dallo stesso World Heritage Committee dell'UNESCO, a causa di autorizzazioni edilizie rilasciate dal Comune di Tivoli nel 2011. Nel 2013 si è tenuta la 36ª riunione annuale del World Heritage Committee dell'UNESCO che si occupa dei siti considerati patrimonio dell'umanità, in cui è stata fatta richiesta all'Italia di informare il comitato di qualsiasi progetto di sviluppo nell'area buffer (zona cuscinetto stabilita con un accordo internazionale tra la Repubblica italiana e l'UNESCO per proteggere l'area archeologica). Il comitato potrebbe proporre la revoca dello status di patrimonio dell'umanità in seguito alla costruzione di alcuni edifici nell'area buffer come approvato in una delibera del 2011 del comune di Tivoli.

Tivoli: Villa Adriana. by vincenzovacca

© vincenzovacca, all rights reserved.

Tivoli: Villa Adriana.

Villa Adriana fu una residenza imperiale extraurbana a partire dal II secolo. Voluta dall'imperatore Adriano (76-138), si trova presso Tivoli (l'antica Tibur), oggi in città metropolitana di Roma Capitale. Realizzata gradualmente nella prima metà del II secolo a pochi chilometri dall'antica Tibur, la struttura appare un ricco complesso di edifici estesi su una vasta area, che doveva coprire circa 120 ha, in una zona ricca di fonti d'acqua a 17 miglia romane dall'Urbs[1]. Nel 1999 Villa Adriana è stata dichiarata Patrimonio dell'umanità dall'UNESCO.
Nel 2014 è stato il ventiseiesimo sito statale italiano più visitato, con 232 147 visitatori e un introito lordo totale di 546 598 EuroSi trova sui Monti Tiburtini, a circa 28 km (17 miglia romane) da Roma, dalla quale era raggiungibile sia per mezzo della via Tiburtina Valeria o della via Prenestina, sia tramite la navigazione sul fiume Aniene. La Villa si trovava sulla destra della via Tiburtina, poco oltre il ponte Lucano, prolungandosi fin quasi alle pendici del monte Ripoli su cui sorge Tivoli.

L'area prescelta si estendeva tra le valli dei fossi di Risicoli o di Roccabruna ad ovest e dell'Acqua Ferrata ad est, che, riunitisi, si gettano poi nell'Aniene; era una zona ricca di acque e vi passavano quattro degli antichi acquedotti romani che servivano Roma (Anio Vetus, Anio Novus, Aqua Marcia e Aqua Claudia). Nei pressi esiste tuttora la sorgente di acqua sulfurea delle Acque Albule (Bagni di Tivoli), che era conosciuta ed apprezzata dall'imperatore. Nei dintorni inoltre erano presenti numerose cave di materiali da costruzione (travertino, tufo e calcare per la realizzazione della calce).« Fece costruire con eccezionale sfarzo una villa a Tivoli dove erano riprodotti con i loro nomi i luoghi più celebri delle province dell'impero, come il Liceo, l'Accademia, il Pritaneo, la città di Canopo, il Pecile e la valle di Tempe; e per non tralasciare proprio nulla, vi aveva fatto raffigurare anche gli inferi. »
(Historia Augusta, Vita Hadriani, XXVI, 5)
Tra le molte ville rustiche che fin dall'età repubblicana erano sorte fra Roma e Tivoli, ne esisteva già una costruita nel periodo sillano, ingrandita all'epoca di Giulio Cesare, pervenuta forse in proprietà della moglie di Adriano, Vibia Sabina, che proveniva da una famiglia di antica nobiltà italica[3]. Fu questo il primo nucleo della villa, incorporato poi nel Palazzo imperiale.

Lo studio del sistema di canalizzazione e delle fognature sembra indicare che la progettazione del complesso sia stata unitaria, anche se dai bolli laterizi ritrovati in circa metà degli edifici emergono tre fasi di costruzione particolarmente attive tra il 118 e il 121, il 125 e il 128 e il 134-138 (consentendo di abbracciare un intervallo presumibile di costruzione tra il 118 e il 138). Di ritorno a Roma nei primi mesi del 134, Adriano poté godere della villa solamente gli ultimi anni della sua esistenza, fino alla morte avvenuta a Baia il 10 luglio 138.[4]

La complessità della residenza, più che alle numerose sfaccettature della personalità di Adriano, fu dovuta alla necessità di soddisfare esigenze e funzioni diverse (residenziali, di rappresentanza, di servizio), oltre che all'andamento frastagliato del terreno; la magnificenza e l'articolazione delle costruzioni rispecchiano le idee innovative dell'imperatore in campo architettonico. Si afferma comunemente che egli volle riprodurre nella sua villa i luoghi e i monumenti che più lo avevano colpito durante i suoi viaggi nelle province dell'impero, sulla base di un passo del suo biografo tardo-antico Elio Sparziano.[5] In realtà gli edifici della villa presentano tutti i caratteri più innovativi dell'architettura romana del tempo, per cui le riproduzioni adrianee di monumenti della Grecia o dell'Egitto vanno intese più come suggestioni evocative che come ricostruzioni reali.

Ciò lo portò ad avere una visione del ruolo di imperatore più assolutistica. Proprio per questo, per separarsi dal popolo e dai sudditi (così come lui lo intendeva) decise di erigere questa imponente costruzione, che a tutt'oggi resta un patrimonio storico molto importante e una testimonianza della grande capacità dei Romani nella costruzione degli edifici. La villa fu realizzata in tre fasi successive dal 121 al 137 d.C. Si tratta di una vera e propria città, estesa su di un'area di circa 300 ha, nella quale il grandioso complesso si presenta diviso in quattro nuclei diversamente caratterizzati.

Gli scavi[modifica | modifica wikitesto]

Modellino ricostruttivo della villa di Adriano
L'area che oggi riconosciamo come pertinente alla villa occupa di certo circa 120 ha: si tratta di una estensione di terreno vastissima per un complesso privato, sia pure di proprietà imperiale[6]. Non è tuttavia certo che la perimetrazione attuale comprenda l'intera superficie del comprensorio adrianeo.

Dopo la morte di Adriano la villa continuò ad essere utilizzata, come mostrano i bolli laterizi pertinenti a restauri del III secolo, ma in seguito fu progressivamente abbandonata e durante il medioevo ridotta a terreno agricolo, salvo essere utilizzata come cava di materiali edili di pregio (marmi, mosaici, decorazioni) per le case di Tivoli, e come riserva di pietra da cui estrarre calce.

Il primo a rinominarla, dopo secoli, fu l'umanista Flavio Biondo nel 1450, e una decina di anni dopo essa venne visitata e citata anche da papa Pio II Piccolomini. Si animò così – dalla fine del secolo – l'interesse di umanisti, mecenati, papi, cardinali e nobili per la villa. Interesse che fu, innegabilmente, soprattutto predatorio: alla ricerca di statue e marmi furono fatti eseguire scavi da papa Alessandro VI Borgia, poi dal cardinale Alessandro Farnese, poi dal cardinale Ippolito II d'Este, per il quale Pirro Ligorio prelevò grandi quantità di materiali destinati sia alla villa di Tivoli che a quella di Roma[7].

Al Ligorio si deve la prima rilevazione topografica della villa, datata attorno al 1560 e attualmente nella biblioteca di Windsor. La villa riscoperta fu frequentata – sia per conto dei ricchi committenti che per propria ispirazione e passione, anche da architetti come Antonio da Sangallo il Vecchio e Francesco Borromini, e artisti come Piranesi[8]. Dal XVI al XIX secolo si moltiplicarono gli scavi, anche da parte dei proprietari dei terreni che insistevano sull'area della villa, come il conte Fede o i Gesuiti ai quali apparteneva l'area del Pecile, e le oltre 300 opere maggiori ritrovate (ritratti, statue, erme, rilievi, sculture, mosaici) furono disperse per le collezioni private ed i musei di mezza Europa.

Nel 1870 lo Stato acquistò il comprensorio dalla famiglia Braschi che era in quel periodo la maggiore proprietaria dei terreni (altre parti, tuttavia, rimasero – e sono ancora – in mano a privati). Furono intrapresi scavi e restauri, che riportarono alla luce la stupefacente architettura degli edifici e talvolta anche stucchi e mosaici superstiti. Le ricerche continuano, ma l'esplorazione del sito è lungi dall'essere completata.

Villa Adriana è stata dichiarata nel 1999 patrimonio dell'umanità, con questa motivazione:

« Villa Adriana è un capolavoro che riunisce in maniera unica le forme più alte di espressione delle culture materiali dell'antico mondo mediterraneo. Lo studio dei monumenti che compongono la Villa Adriana ha svolto un ruolo decisivo nella scoperta degli elementi dell'architettura classica da parte degli architetti del Rinascimento e del Barocco. Essa ha, inoltre, profondamente influenzato un gran numero di architetti e disegnatori del XIX e del XX secolo. »
Questo riconoscimento è stato tuttavia messo in discussione dallo stesso World Heritage Committee dell'UNESCO, a causa di autorizzazioni edilizie rilasciate dal Comune di Tivoli nel 2011. Nel 2013 si è tenuta la 36ª riunione annuale del World Heritage Committee dell'UNESCO che si occupa dei siti considerati patrimonio dell'umanità, in cui è stata fatta richiesta all'Italia di informare il comitato di qualsiasi progetto di sviluppo nell'area buffer (zona cuscinetto stabilita con un accordo internazionale tra la Repubblica italiana e l'UNESCO per proteggere l'area archeologica). Il comitato potrebbe proporre la revoca dello status di patrimonio dell'umanità in seguito alla costruzione di alcuni edifici nell'area buffer come approvato in una delibera del 2011 del comune di Tivoli.